Incontro pedagogico, Padova 6 ottobre 2012
(Maria Amoroso)
Vivo da 18 anni in Francia, mio marito è francese, ho due bambini di 6 e 4 anni. Insegno la lingua italiana, nella periferia Nord di Parigi, in ZEP, cioé in zona d’educazione prioritaria, svantaggiata dal punto di vista socio-economico.
Le scuole dove insegno, collège e Lycée, hanno una popolazione di studenti multiculturale e piuttosto eterogenea: alcuni molto capaci, altri in grandi difficoltà, tutti condizionati - in un modo o nell’altro - da un contesto svantaggiato. La scuola si trova in una cittadina, Saint-Ouen, in cui c’è traffico di droga, traffico d’armi, rackett... anche di fronte alla nostra scuola media ci sono spacciatori, che cercano di contaminare i ragazzi e di ingaggiarli come spacciatori.
In questo contesto la scuola ha un ruolo molto importante, non solo per trasmettere conoscenze e competenze, ma anche come luogo che dà ai ragazzi la possibilità di vivere esperienze positive che aiutino la loro formazione umana.
Normalmente sono gli insegnanti all’inizio della loro carriera che vengono mandati in queste scuole, poi appena acquisiscono sufficiente punteggio, normalmente dopo 3-4 anni, chiedono il trasferimento e vanno in scuole meno difficili. Avrei potuto fare anch’ io così, invece ho deciso di restare, infatti sono lì da 12 anni.
Rimango perché in questa scuola non rischio di cadere nella routine, devo trovare continuamente nuove idee e nuovi interessi per coinvolgere i ragazzi e per dare loro – come penso sia giusto – la stessa qualità di insegnamento che ricevono gli studenti nelle scuole migliori di Parigi.
Dopo i primi anni faticosi adesso so come rapportarmi e accogliere i miei alunni, ho imparato ad avere con loro una relazione pacifica e costruttiva anche instaurando un dialogo con le loro famiglie. Posso anche aiutare i colleghi giovani che arrivano in questa realtà e sono inesperti: alcuni crollano psicologicamente (non è raro trovare un collega che piange nella sala dei professori), altri mandano continuamente gli studenti più difficili davanti al consiglio di disciplina... è importante che quando hai esperienza tu possa essere li’ per accogliere, ascoltare questa sofferenza dei colleghi, condividerla e aiutarli a superare le difficoltà che incontrano.
All’inizio anche per me è stata dura. Mi è successo di essere insultata dagli studenti. Una volta ho parcheggiato la macchina, una panda rossa, troppo vicino alla scuola e i ragazzi hanno capito che era la macchina di un insegnante e me l’hanno demolita a calci. In queste situazioni non sapevo come comportarmi, non ero preparata ad affrontare questa aggressività, mi mettevo sulle difensive, reagendo a volte in modo troppo veemente a volte in modo remissivo.
Pian piano ho imparato. Adesso mi sento piu’ preparata ad affrontare questa aggressività, so come aiutarli a superarla, so ritrovare la serenità in classe. Ci vuole tempo per trovare un modo di comunicazione adeguato con loro, che li faccia sentire rispettati e allo stesso tempo ponga dei limiti, senza interrompere mai la relazione. E poi trovare i momenti e gli spazi per seguire i ragazzi che attraverso il loro comportamento indisciplinato manifestano più sofferenza o difficoltà.
Penso a Sidi che ha un fratellino handicappato e vive con 6 fratelli, che la mamma cresce da sola. In sixième (la prima media) era un bravissimo allievo ... adesso in troisième (il quarto anno della scuola media) è demotivato: si è trovato a dover affrontare problemi più grandi di lui... deve occuparsi del fratello handicappato, mentre la mamma lavora tutto il giorno. Io cerco di aiutarlo a uscire da questa sofferenza permanente. Lo incoraggio a dare il meglio di sé in classe. Dicevo a una collega: è importante che cerchiamo di non perdere mai la pazienza con lui. Non sappiamo se quello che facciamo avrà un risultato positivo, ma l’importante è avere la certezza che abbiamo fatto tutto quello che possiamo fare. Il nostro sguardo nei confronti di questi ragazzi che sono in difficoltà deve essere positivo e non dobbiamo perdere la speranza di ottenere il meglio da loro, dar loro fiducia. Penso che il nostro atteggiamento nei loro confronti sia fondamentale perché i ragazzi ce la facciano a venir fuori dalle loro difficoltà.
In classe cerco di non far loro perdere di vista che io sono lì per farli crescere intellettualmente e culturalmente e che da loro mi aspetto che ognuno dia il meglio di sé. Cerco di valorizzare la partecipazione. All’inizio dell’anno pongo delle regole: nessuno ha il diritto di prendere in giro gli altri quando parlano. Gradualmente si instaura un’atmosfera di rispetto, in cui ciascuno è libero di esprimersi. In questo clima di partecipazione attiva, e di valorizzazione quando qualcuno cerca di disturbare dopo un po’ si sente isolato dal resto della classe e capisce che agendo cosi’ non dà un’immagine positiva di sé. Capiscono che il fatto di costruire una buona lezione dipende da me, ma anche da loro che si impegnano a partecipare attivamente per acquisire la capacità di comunicare in una lingua diversa.
Dal punto di vista didattico imposto il mio lavoro su progetti culturali interdisciplinari che si concludono ogni anno con una gita scolastica – finanziata oltre che dagli enti preposti, comune, Conseil général, banche, anche da piccole attività di autofinanziamento nel corso dell’anno – per fare vivere a questi ragazzi esperienze culturali al di fuori della scuola. Molti di loro sono in situazione di sofferenza tra le quattro mura dell’aula, ma se li portiamo fuori dalla scuola diventano altre persone, emerge tutto il loro potenziale positivo. Penso ad esempio a Yanis. In classe è molto passivo. Parlando con lui sono venuta a sapere che fin dalla prima elementare gli insegnanti, e anche il padre, gli avevano detto che era un buono a nulla e lui ha finito per crederci: quando arriva in classe diventa completamente amorfo. In Sicilia, dove siamo andati quest’anno per il nostro viaggio di classe, mi sono accorta che è un ragazzo pieno di interessi... ad esempio è appassionato di elettronica. In classe detesta la storia, in Sicilia è stato affascinato dal teatro greco di Taormina e dall’acquedotto romano di Siracusa. Ho visto che era molto sensibile alla bellezza artistica e ricettivo a questa pedagogia della scoperta culturale. Il suo comportamento durante tutta la gita è stato esemplare.
Alcuni insegnanti pensano che non sia possibile portare questi ragazzi fuori dalla scuola, in viaggio. Io invece dico: “Se non li facciamo uscire dal loro ambiente che li condiziona, li giudica e li emargina come possiamo educarli ad altro?”. I viaggi per me sono un mezzo per far vivere loro esperienze belle e di fraternità, che contribuiscano a migliorare le loro aspirazioni e a farli volare più in alto.
Inoltre mi occupo dell’orientamento. Cerco di far capire loro che, qualunque sia l’indirizzo di studio e il campo verso cui si dirigano devono puntare all’eccellenza. Ho accompagnato nell’orientamento Maxime che voleva diventare cuoco, dicendogli : “ Hai la fortuna di avere le idee chiare su quello che vuoi fare. Questo è raro. Percio’, sii ambizioso, punta ad avere un’ottima formazione”.
Ha fatto domanda da Ferrandi, una delle migliori scuole di cucina di Parigi, alla fine della quale si hanno tutte le porte aperte. E’ stato accettato. E’ stata una grande gioia, anche per sua madre, separata. Quando è venuto a darmi la bella notizia Maxime mi ha detto “Io creerò delle ricette... e una ricetta sarà un “Tiramisu‘ Amoroso’” (il mio cognome).
Certo anch’ io certe volte incontro delle difficoltà in classe e a volte mi sembra di non riuscire a cambiare nulla, i momenti di scoraggiamento sono umani. A volte invece ho la prova tangibile che le relazioni costruite portano frutti. Penso ad esempio a Youssef, che mi ha fatto disperare negli anni del college (scuola media): in classe era una provocazione permanente, interrompeva continuamente la lezione con domande impertinenti, con atteggiamenti di apparente superiorità perché aveva soldi che si procurava in modo illecito. Per lui ho temuto il peggio. Però aveva un grande amore per la sua mamma e io ho instaurato un rapporto particolare con lei, che si sfogava con me, piangeva con me. Questa generosità nell’accogliere anche la sua famiglia lo ha profondamente toccato. Anche nelle commissioni disciplinari non ci siamo rassegnati a espellerlo dalla scuola. Tutto quello che potevamo fare l’abbiamo fatto. Adesso lo ritrovo al Liceo profondamente cambiato, con il desiderio di essere un bravo alunno. Non sono più la sua insegnante, ma quando l’ho incontrato, poco tempo fa, mi ha detto: ‘Rimaniamo in contatto perché per me è fondamentale la sua amicizia con lei’ offrendomi delle piccole piramidi di cristallo della sua terra d’origine, l’Egitto.
Sempre nell’obiettivo di offrire un insegnamento di qualità, ho proposto tre anni fa di creare le classi bilingue. Proponiamo fin dalla 6ème (prima media) la possibilità di imparare due lingue ( di solito cio ‘ è possibile soltanto in 4ème, a partire dalla terza media). Lo scopo di questo progetto è di coinvolgere tutto il corpo insegnante, di proporre progetti interdisciplinari, di far partecipare i ragazzi e le famiglie alla vita culturale e scolastica.
Quello che mi ha aiutato in questi anni è stato il fatto di condividere le responsabilità. Con i colleghi innanzitutto. Ho un buon rapporto con molti colleghi del mio collège e anche del liceo. E’ importante, ascoltare, parlare, condividere, esperienze positive ma anche quelle negative. Ho imparato a non aspettarmi di vedere i risultati subito. In alcuni casi i risultati si vedono nel tempo. Ma anche quando un ragazzo non cambia, l’importante è continuare a credere in lui e accompagnarlo. Non fermarci su quello che non va, ma cogliere tutto il positivo che c’è in lui e avere su di lui uno sguardo, un atteggiamento e delle attenzioni che lo valorizzino e lo gratifichino.