Trascrizione della relazione che l’Autrice ha offerto in occasione del Congresso Internazionale Teologico-Pastorale dal titolo: "I Figli, primavera della famiglia e della Società".
L'EVANGELIZZAZIONE DEI FIGLI[1]
Giubileo delle Famiglie, Vaticano, Aula Paolo VI, 12 ottobre 2000
Autorità ecclesiastiche, autorità civile, signore e signori, il tema proposto per questo momento del nostro congresso, "L'evangelizzazione dei figli" è quanto mai importante per i nostri figli, per le famiglie, per la comunità ecclesiale e per la stessa società civile. Riuscire, infatti, a trasmettere i valori del Vangelo alle nuove generazioni significa realizzare una convivenza più solidale e di alto profilo etico oggi, e soprattutto mettere le basi perché ciò continui anche nel futuro.
Esistono vari modi di trasmettere il Vangelo. Io mi limito qui a parlare di quello che conosco e cioè dell'esperienza di educazione evangelica dei bambini del Movimento dei Focolari che ho l'onore di presiedere.
I Vangeli ci rivelano quanto Gesù ami i bambini. Dice il Vangelo di san Marco: "Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano" (Mc 10, 13-16). E l'evangelista Matteo: "Ma i sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo i fanciulli che acclamavano nel tempio 'Osanna al figlio di David', si sdegnarono e gli dissero 'Non senti quello che dicono?'." (Mt 21, 14-16). Di fronte all'insofferenza dei discepoli come allo sdegno dei sommi sacerdoti, Gesù assume un altro atteggiamento. C'è, infatti, una completa divergenza tra il suo modo di valutare persone e avvenimenti e il loro. Per Gesù il "bambino" è addirittura il modello di discepolo che ha in mente. Dice infatti: "Se non vi convertirete e non diverrete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18, 3).
E l'amore di Gesù per i bambini è prontamente ricambiato. Essi sono affascinati da lui. La loro presenza attorno a lui è una costante della sua vita pubblica, e proprio perché li ama e ne è riamato, diviene il loro amico e il loro vero "maestro". E questo non era vero solo duemila anni fa per le strade della Palestina, ma continua e continuerà ad essere vero nello scorrere del tempo per tutti i bambini del mondo. è
Una mamma recentemente mi ha scritto che la sua bambina di cinque anni era dibattuta tra la spinta a partecipare ad un incontro di formazione sul Vangelo e il fatto che questo incontro - di quattro giorni - sarebbe avvenuto lontano da casa, lontano da Bari, la sua città. Avrebbe dovuto dormire perciò, per la prima volta, fuori casa, senza mamma e senza papà. "Un giorno – racconta questa mamma – Angela - la bambina - arriva a casa decisa. Aveva sentito come i bambini vivevano il Vangelo. 'Voglio fare anch'io come loro. Dammi la valigia – mi ha detto –, metterò le scarpe senza lacci e i vestiti che non hanno bottoni, perché là tu non ci sarai, mamma, a vestirmi…'".
Sono esperienze che possono far sorridere, ma a quella mamma venne un nodo in gola, "perché - mi scrive - sentii che Gesù aveva preso il suo cuore."
All''educazione', intesa come "percorso verso un dover essere" religioso, morale, comportamentale, culturale e sociale dei figli, provvedono diversi agenti, spesso in sinergia tra loro. Essi sono anzitutto i genitori e la famiglia, poi la scuola materna e di base, la comunità ecclesiale con i suoi ambiti e specialisti di formazione, i gruppi d'aggregazione spontanea, i mezzi di comunicazione sociale.
Vorrei limitare questa nostra riflessione alla famiglia.
Genitori e famiglie, come potranno svolgere nel modo migliore possibile la loro missione di educatori? Anzitutto impegnando al massimo quelle particolari risorse pedagogiche che la genitorialità ha immesso in loro, risorse potenziate dall'esperienza personale e dall'eventuale patrimonio culturale offerto dal contesto sociale in cui vivono. Si tratta del primo ed insostituibile strumento educativo, che tutti i genitori per natura possiedono.
C'è però anche una prospettiva più ampia e più alta. I genitori cristiani credono che il loro figlio entra nella dimensione esistenziale come un "progetto di immortalità". Il disegno di Dio sull'uomo è una vita che inizia flebile e indifesa, cresce e si afferma nell'interazione con le creature e il creato, supera la morte ed entra nella perenne novità della condizione divina, per diventare e vivere da "figlio di Dio"[2] Si tratta dell'avventura umana di Cristo, che, per viverla, ha dovuto essere "accolto ed aiutato a crescere"[3] da una semplice e povera famiglia, come ha detto Giovanni Paolo II; 'semplice e povera' fin che si vuole, ma sicuramente in possesso di quelle risorse spirituali ed umane che la facevano essere l'ambiente adatto alla formazione di quell'Uomo.
E ogni famiglia deve credere all'amore di Dio, che insieme al dono della vita, prepara per ogni suo figlio l'ambiente per crescere e la strada da percorrere.
Ma qual è la strada? Lo sappiamo: "Io sono la via - ha affermato Gesù stesso -. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Gv 14, 6). Educare un figlio significa, in definitiva, farlo incontrare con Gesù. Il "lasciate che i bambini vengano a me…"(Mc 10, 14) è una sublime sintesi di metodo educativo evangelico e per una formazione non solo religiosa ma integralmente umana.
Forse che duemila anni fa incontrare Gesù sarebbe stato più facile? Non lo so… La storia della salvezza va avanti e Cristo continua ad essere con noi, come aveva promesso. E sono queste sue "presenze promesse" i punti di contatto tra la famiglia e lui.
Vorrei esaminarne brevemente due, particolarmente consone alla realtà della famiglia.
Una prima presenzadi Gesù è contenuta in quella sua nota ed esplicita dichiarazione che dice: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20). Dunque egli è presente dove si è uniti, che significa, secondo molti Padri della Chiesa e la tradizionale interpretazione del magistero, essere uniti in lui, nella sua volontà, in pratica, nell'amore reciproco che è il suo comandamento[4].
Ora può una famiglia, possono due sposi realizzare quella condizione per la quale, secondo Origene, Cristo viene "attirato e provocato"[5] ad essere presente tra di loro?
Tutti costatiamo che la famiglia è già un intreccio d'amore, d'amore umano che lega il padre alla madre; loro due ai figli; i figli ai genitori, i figli fra loro e poi con gli zii e con i nonni e gli zii e i nonni con i nipoti. Ora, se essa attinge anche all'amore divino che la vita cristiana offre, quell'amore divino che è infuso nei cuori dallo Spirito Santo, Cristo può porsi davvero in mezzo ad essa, potenziando l'amore umano che già esiste e la grazia stessa del sacramento del matrimonio.
E com'è questo amore umano-divino, questo 'amore evangelico'? Come si fa, in pratica, ad amare secondo Gesù?
Qui è proprio necessario soffermare la nostra attenzione, per apprendere quella che, in certo modo, può dirsi l'arte di amare di Cristo. Essa è esigente. E' un amore - il suo - che ama tutti. E' un amore che ama per primo. E' un amore che ama sempre, che non finisce mai. E' un amore che entra nella realtà dell'altro, che sa farsi uno con l'altro. E infine, un amore che nell'altro, in chiunque altro, vede ed ama Gesù, secondo le sue parole "… l'avete fatto a me" (Mt 25, 40).
Se in una famiglia i due sposi si amano ed amano così, ricominciando sempre, sapendo morire a se stessi per amore dell'altro, questo loro amore reciproco, che porta il Maestro in casa, attira i figlioli. E', infatti, dell'ordine naturale delle cose che i figli siano portati ad imitare il comportamento dei genitori. E se questo è, considerando solo umanamente la famiglia, cosa potrà avvenire quando sulle persone si innesta la grazia del sacramento e fra loro la mistica presenza di Gesù stesso?
Io ho la fortuna di ricevere molte lettere dai bambini, perché la parte giovanile del nostro Movimento comprende anche i piccolissimi; e posso costatare l'azione educante spontanea, per così dire, di una famiglia che cerca di vivere l'amore evangelico.
"Ieri papà mi ha chiesto di andare in cantina a prendere il vino – mi scrive Betty, una bambina di 6 anni di Milano -. Per le scale era buio e io avevo paura. Poi ho pregato Gesù e ho sentito che lui era vicino a me. Alle volte parlo con Gesù. L'altro giorno ero nella mia stanza a fare i compiti e ho incominciato a parlare con lui; gli dicevo tante cose e non avrei mai voluto smettere. Sai, quando faccio un atto d'amore, sento una cosa bella dentro, come qualcuno che mi fa un complimento e mi dice grazie. Penso che è Gesù."
E una mamma francese mi scrive: "Prima di metterli a letto, prego in ginocchio sul tappeto con le due più grandi. Ieri sera Ruth è - una delle due - mi ha fatto notare che David, il piccolino, continuava a giocare. 'Lascialo' ho detto 'è il suo modo di pregare'. Così ci siamo raccolte in preghiera, nella preghiera della sera. Quando abbiamo riaperto gli occhi, David era accanto a me con le manine giunte. 'Vedi - ha detto Cathrine, l'altra - se noi amiamo Gesù gli insegna anche a lui'."
Un'altra presenza di Gesù, significativa per il tema che stiamo affrontando, è quella nella sua Parola. Gesù è presente nella sua Parola.
Per quanto riguarda la nostra esperienza spirituale, possiamo dire, come ripetiamo spesso, che siamo "nati col Vangelo in mano" e continuiamo così. Scegliamo una frase per volta, da mettere in pratica per un mese nelle vicende di ogni giorno. Così la nostra esistenza viene "evangelizzata" ed immersa in Dio, presente tutto in un frammento della sua Parola. Con questa semplicissima tecnica pedagogica della gradualità e della pienezza, Dio ci ha portato a vivere un'esperienza spirituale ed educativa forte ed in continua espansione. Un'esperienza che coinvolge anche le nostre famiglie e le famiglie delle comunità che si aggregano attorno ai Focolari e che condividono la nostra stessa avventura spirituale.
Ed in queste famiglie, come ai piccoli figli si spezza il pane quotidiano, così occorre spezzare il Vangelo. Ma in che modo? Proprio come facciamo noi adulti. Si prende - come ho detto - ogni mese una frase dal senso compiuto, con un commento interpretativo approvato dalla Chiesa comprensibile a tutti, e si cerca di incarnarla nelle piccole e grandi occasioni della giornata, facendo a gara quasi coi figli in un santo e gioioso spirito di emulazione. Se mamma e papà raccontano alla sera come sono riusciti a vivere da cristiani gli episodi della loro giornata, verrà spontaneo ai figli fare altrettanto raccontando le loro esperienze. Sono momenti dove responsabilità e reciprocità intessono in modo mirabile il rapporto familiare[6].
Nei bambini che crescono in famiglie così, è spontaneo il formarsi giorno per giorno di una mentalità secondo il Vangelo, che li porterà a valutare persone e situazioni come Gesù, col suo modo di pensare. Impareranno a vedere nell'umanità la grande famiglia dei figli di Dio, ad usare delle cose di questo mondo con spirito casto e solidale, possederanno una retta gerarchia dei valori che li guiderà sempre nella vita.
Certo, verranno anche per loro prove e periodi di crisi e di ricerca; soprattutto nell'adolescenza o nella prima giovinezza, conosceremo il loro rifiuto e la loro contestazione, ma nessun loro atteggiamento, per grave sia, dovrà bloccare o spegnere la nostra carità nei loro confronti. L'arte di amare che Gesù ci ha insegnato ci indicherà come 'farci uno' fino in fondo nelle varie tappe del loro crescere, ci metterà sulle labbra le giuste parole d'ammonimento, ci terrà sempre aperti al dialogo e alla condivisione dei loro interessi. Sapremo 'perdere tempo' con i figli, sapremo farceli amici e aprirli alla confidenza. Ma anche se perdura il rifiuto, terremo sempre aperta la porta di casa e riconosceremo nel nostro dolore un'ombra del dolore di Cristo crocifisso che pure ha vissuto l'abbandono da parte di tutti e persino da parte del Padre suo. E l'accetteremo come ha fatto lui, rimanendo nella serenità.
Noi crediamo però - e tante esperienze ce lo confermano - che tutti i valori deposti in loro resteranno, perché nel momento più importante della loro vita, quando si mettono le basi della personalità e del carattere, hanno avuto la grande fortuna di incontrare Gesù, presente tra i genitori, presente con la sua Parola nella loro vita. Perché davvero i bambini sanno vivere, ancor meglio di noi, con generosità e totalitarietà, la Parola di Dio.
L'anno scorso mi è venuta l'idea di proporre loro un gioco: scrivere sulle facce di un dado le regole dell'"arte di amare" di cui ho parlato poc'anzi, invitandoli a gettare al mattino questo dado, quando si alzano, per scegliere in che modo amare tutti quelli che quel giorno avrebbero incontrato. è E' incredibile la risposta entusiasta e gli echi da ogni parte del mondo.
Mi scrive un papà da Genova: "Stavo lavando i piatti quando Luca è entrato in cucina. Prende lo strofinaccio e si mette ad asciugare. 'Stai attento a non farli cadere' gli ho detto un po' meravigliato della sua generosità. E lui soddisfatto: 'Quando mamma tornerà, troverà tutto pulito. Sai papà, quando andrò in Paradiso Gesù mi dirà: quella volta che hai aiutato il papà, l'hai fatto a me."
Irene, Ilaria, Laura, tre sorelline di Firenze, vanno con la mamma a fare le spese in macchina. Passano davanti alla casa del nonno e chiedono di poter salire a salutarlo. "Andate voi – dice la mamma – io vi aspetto in macchina". Quando ritornano chiedono: "Perché non sei venuta?" E lei: "Il nonno non si è comportato bene con me; così capisce…" Ilaria la interrompe: "Ma mamma, stiamo vivendo la Parola: amare tutti, quindi anche i nemici…" La mamma non sa più cosa dire. Le guarda e sorride: "Avete ragione. Aspettatemi qui." E sale da sola dal nonno. (Applausi)
Ed ora, per concludere, può essere gradevole che io legga ancora un paio di episodi di questi bambini educati dal Vangelo. Episodi significativi che fanno a volte sorridere.
Noi abbiamo migliaia, migliaia di poveri che aiutiamo in modo particolare e i bambini contribuiscono. Ecco cosa mi scrive Marco: "Carissima Chiara, sono Marco di Cosenza. Mamma e papà mi hanno detto che hai fatto dei conti straordinari - era un fare i conti, appunto, per vedere quanti ne potevamo aiutare - e ho capito com'è la situazione, perciò ti mando...", ecco, e qui spiega, è una cosa che si usa fare in Italia, che i genitori dicono ai bambini: "Quando perdi un dentino - perché c'è l'età in cui perdono i dentini - mettilo in un buco del muro, vedrai che durante la notte passa un topolino e ti lascia un soldino." (...) Ecco cosa mi scrive Marco: "Carissima Chiara, sono Marco di Cosenza. Mamma e papà mi hanno detto che hai fatto dei conti straordinari per questi nostri poveri e ho capito com'è la situazione, perciò ti mando i soldini che il 'topolino' mi ha lasciato al posto del primo dentino che mi è caduto. Sai, Chiara, anch'io ho fatto i miei conticini: mi devono ancora cadere 11 dentini... Chiara, sono sicuro che ce la faremo, e non avremo più poveri nel mondo!" (Applausi)
Ed ecco l'ultima. Kanna è una bambina di Nagasaki, in Giappone. Va all'asilo; tanti suoi compagni sono di altre religioni, anche la maestra non è cristiana. Alla fine dell'anno la maestra saluta ad una ad una tutte le bambine dell'asilo. Quando arriva a Kanna le dice: "Ti ringrazio perché ci hai fatto conoscere Gesù. Quando ce ne parlavi, si sentiva che era vicino a te. Ci hai insegnato le preghiere che hai imparato a casa tua: sono belle. Stamattina ti ho visto quando hai regalato a una tua compagna il premio che avevi ricevuto: questo mi ha commosso! Io sto per sposarmi, ma prima voglio ricevere il Battesimo e mi sto preparando perché voglio credere anch'io come te a Gesù."
Ecco, la fine. Chiediamo a Maria, che ha educato il Maestro per eccellenza, di trasmetterci un po' della sua materna pedagogia.
[1]Pubblicato in: “Nuova Umanità” 3-4(2001), p. 353-361.
[2] Cf L.Macario, L’educazione religiosa, in N.Galli (a cura di), Vogliamo educare i nostri figli, Vita e Pensiero, Milano 1985, p.272.
[3] Giovanni Paolo II, Angelus 26-12-1999, “L’Osservatore Romano”, 27-28 dicembre 1999, p.9.
[4] Cf C.Lubich, Scritti Spirituali/3, Tutti uno, Città Nuova 1989, p.173 e seg.
[5] Commento al Cantico, 41, p. 13, 94 B.
[6] Cf G.Milan, Disagio adolescenziale e strategie educative, Cleup Padova 1999, pp.56 e segg.