Testo dell'intervento su "la famiglia e l'educazione" offerto in occasione del Congresso Internazionale promosso dal Movimento"Famiglie Nuove".

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 UNO SOLO E’ IL MAESTRO [1]

 

Congresso Famiglia-Educazione, Castel Gandolfo, 02.05.1987

 

Anzitutto un saluto a tutti i presenti e soprattutto a quelli che sono venuti da più lontano. Oggi inizia il Convegno indetto dal nostro Movimento Famiglie Nuove, che s'intitola: "La famiglia e l'educazione". Questo mio breve intervento vuole essere soltanto un'introduzione ad un tema così importante. Il presente convegno lo approfondirà da diversi punti di vista. Io desidero mettere una base a tutto quanto si dirà, attuata la quale - mi sembra - ogni cosa acquista più valore e vero valore. 

Parlando di educazione è logico che ci si trovi di fronte a due soggetti: l'educatore, il maestro, che ha da insegnare, da educare, e il discepolo che deve esser educato.

 

C'è, a proposito dell'educatore, o del maestro, una frase di Gesù nel Vangelo che fa pensare e può essere di luce anche nell'educazione che si deve impartire nella famiglia. Essa dice: "Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli" (Mt. 23,8). Per Gesù non esiste che un solo maestro e questi è lui stesso. Con ciò egli non nega la presenza di un'autorità, di una paternità. Ma essa deve essere interpretata non come dominio o potere, bensì come servizio. Perché nel servizio, che è amore, non è solo l'uomo che agisce, ma Cristo stesso in lui e Cristo resta così il primo maestro.

Se Gesù è il maestro, un dovere dei genitori cristiani sarà quello di guardare a lui per imparare come educare.

Ma che tipo di educatore era Gesù? In Gesù, come maestro, emergono alcune caratteristiche importanti. Egli anzitutto dà l'esempio, incarna egli stesso la sua dottrina. Non impone oneri che non porti egli per primo: "Guai a voi - dice - che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!" (Lc. 11,46). Gesù mette in pratica quanto poi chiede agli altri. 

Guardando a lui si può dedurre che il primo modo d'educare anche per i genitori, non deve essere impegnarsi ad istruire o correggere, ma a vivere con totalità la propria vita cristiana. I genitori devono mettere in pratica essi stessi quanto poi chiedono ai figli. è Domandano sincerità, impegno, lealtà, obbedienza, carità verso i fratelli, castità, pazienza, perdono? Che i figli possano costatare tutte queste qualità prima di tutto in loro. Nella madre e nel padre i figli devono trovare sempre dei modelli indiscutibili cui possano riferirsi.

Un'altra caratteristica del modo di educare di Gesù è quella di intervenire in aiuto dei suoi, concretamente, come quando ha sedato la tempesta sul lago (cf. Lc. 8,24). I genitori, che già naturalmente si prodigano per i loro figli, molto di più potranno fare, e soprattutto molto meglio, se innesteranno sul loro amore l'amore soprannaturale: se ameranno con la carità di Dio, la carità di chi ama per primo, senza aspettarsi nulla. E' un amore questo che non lascia mai indifferenti.

Gesù poi dà fiducia a chi deve istruire, come si può dedurre dalle sue parole all'adultera: "Va' - dice - e d'ora in poi non peccare più" (Gv. 8,11). Egli crede alla possibilità che quella donna inizi una vita moralmente corretta. Le parole dei genitori devono sempre incoraggiare, essere cariche di speranza, positive, devono manifestare tutta la loro certezza nella ripresa dei propri figli.

Gesù lascia libertà e responsabilità di decisione, come fa quando incontra il giovane ricco (cf. Mt. 19,16 ss). Non si devono mai imporre le proprie idee, ma offrirle con amore, come espressione d'amore. 

I figli sono prima di tutto figli di Dio e non nostri. Non vanno trattati quindi come proprio possesso, ma come persone a noi affidate.

Gesù non esita a correggere anche con decisione e forza, quando occorre. Dice a Pietro che lo voleva far desistere dall'affrontare la sua passione: "Lungi da me, Satana! Tu (...) non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!" (Mt. 16,23). Anche la correzione è necessaria. E' parte integrante dell'educazione: "Chi ama suo figlio è pronto a correggerlo" (Prv 13,24), è scritto nel libro sacro dei Proverbi. Dio, che formava lui stesso il popolo ebreo, come un padre e come un maestro, faceva consistere la sua educazione nell'istruire e nel correggere.

Guai se non si corregge! Si sarà responsabili d'una tale omissione! Fa sempre impressione una frase del profeta Ezechiele: "(Se) tu non parli per distogliere l'empio dalla sua condotta, egli (...) morirà per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te." (Ez. 33,8). E' dovere dei genitori, dunque, la correzione. L'ammonimento dato con pace, con calma, con distacco pesa sulla responsabilità dei figli che se ne ricorderanno.

Gesù mostra nella stupenda parabola del figliol prodigo come è la misericordia del Padre, e quindi anche la sua, verso coloro che ritornano al bene, che si pentono. I genitori devono comportarsi con i figli come Dio si comporta con noi. La misericordia del padre e della madre in una famiglia deve arrivare a saper veramente dimenticare, al "tutto copre" (l Cor. 13,7) della carità di Dio. I reiterati interventi, che ricordano un passato negativo, non sono nella linea di Gesù. Possiamo quindi comprendere perché non siano accettati.

Gesù insegna nelle sinagoghe, sulla montagna, per le vie della Galilea e della Giudea, nel tempio a Gerusalemme. Ogni posto anche per i genitori può esser utile al loro insegnamento.

Il modo di esprimersi di Gesù, pur rifacendosi all'uso del suo tempo, è nuovo: parla un linguaggio vivo, immaginoso, concreto, breve, preciso. Evita ogni prolissità, spesso condensa in una frase tutto quanto deve esporre su un argomento. Così si deve fare anche in famiglia. Le cosiddette lunghe "prediche" non sono accettate dai nostri ragazzi. Bastano poche parole suggerite da un amore vero, puro, disinteressato.

Gesù usa anche il dialogo, alternando domande e risposte, fa uso di sentenze e, con gli scribi e i farisei, discute. Fra genitori e figli, siano essi piccoli o grandi, il colloquio non deve mai interrompersi; deve essere sempre aperto, sereno, costruttivo come fra amici.

Avviene spesso che nelle famiglie qualcuno dei figli, anche dopo aver conosciuto una testimonianza dei genitori vissuta secondo il Vangelo, si allontani da loro e talvolta anche dalla fede. Pure con lui non è mai il caso di rompere il rapporto, qualunque sia la strada che va percorrendo: forse pure quella di ideologie lontane da Dio, fosse pure la via della droga, o di esperienze radicalmente in contrasto con l'insegnamento morale ricevuto in famiglia.

Specie in Occidente, siamo immersi in una società secolarizzata, in cui sono venuti meno importanti valori tradizionali, ma dove ne emergono altri, come una più forte coscienza della libertà personale, il gusto del progresso scientifico e tecnologico, il superamento di barriere culturali e nazionali, una consapevolezza diversa da ieri dell'essere donna nella società, da parte delle ragazze, una semplicità di rapporti fra ragazzi e ragazze, ecc. Occorre nei genitori una capacità di discernimento, nel dialogo con i figli, tenendo conto del contesto cambiato profondamente in cui vivono, e sapendo distinguere i "segni dei tempi" che certe loro esigenze nuove esprimono e vivere con loro anche la parola "chi non è contro di noi, è per noi" (Mc. 9,40).

Gesù, nell'educare la gente, non teme di capovolgere la scala dei valori consueti, come quando annuncia le beatitudine (cf. Mt. 5,2 ss). Chiama beati, infatti, quelli che non appaiono tali. Presenta una via difficile da percorrere, controcorrente con quanto offre il mondo. Anche noi dobbiamo aver il coraggio di dire ciò che veramente vale.

Non bisogna illudersi che, presentando un cristianesimo languido, un Cristo inesistente, siano meglio accolte le nostre proposte. Dio si fa sentire nel cuore dei nostri figli. Ed essi reagiscono positivamente solo alla verità, quando questa viene loro presentata con un linguaggio ad essi accessibile e da essi accettabile, perché espresso da genitori che, prima di insegnare, hanno fatto lo sforzo di capire e condividere profondamente le esigenze vere delle nuove generazioni.

Il Vangelo ci mostra Gesù che parla "come uno che ha autorità" (Mt. 7,29). I genitori - fidandosi della grazia che possiedono come tali - non devono mai venir meno al loro compito di educatori. I figli, in fondo al loro cuore, li esigono così. Non per nulla essi spesso li sanno giudicare anche spietatamente se hanno taciuto la verità.

Gesù educa consegnando ai suoi il "suo" tipico insegnamento: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Gv. 15,12).

Gesù, precisando quel "come io vi ho amato", si presenta come il "maestro" di tale amore. Questo deve essere l'insegnamento per eccellenza che deve dare anche un genitore ai propri figli, perché esso è la sintesi del Vangelo. E i genitori devono imitare così bene Gesù nel metterlo in pratica, da poter ripetere ai figli quel comando come proprio: Figlioli miei, amatevi come io ho amato voi.

Imitare, dunque, Gesù. Imitarlo come maestro. Imitare Gesù, o meglio ancora: lasciarlo vivere in noi. Sì, l'ottimo sarebbe che lui stesso prendesse posto in noi. Se egli vivrà nelle nostre persone il nostro comportamento d'educatori sarà ineccepibile. Se egli sarà introdotto come educatore nella nostra famiglia, avremo adempiuto perfettamente il nostro compito.

Gesù deve vivere nelle nostre persone. Come può avvenire questo? Il Vangelo ce l'ha insegnato. Eravamo ancora all'inizio della nuova vita, quando il Signore ci spingeva a fare di essa una divina avventura, in cui egli vivesse in noi. Poi, piano piano, inoculando nelle nostre menti le varie idee che diedero origine alla spiritualità dell'unità, lo Spirito ci ha spiegato come ciò poteva divenire realtà. Ora tutti quelli che seguono questa via conoscono il modo di comportarsi perché Gesù sia in loro.

Lasciar vivere non l'uomo vecchio, ma l'uomo nuovo; amare in modo soprannaturale; essere "fuori di sé" - come diciamo noi - sempre, superando eventuali ostacoli con l'amore a Gesù crocifisso e abbandonato; non vivere noi stessi, ma vivere gli altri, facendoci uno con loro in tutto tranne nel peccato... Sono queste tutte espressioni che dicono come Gesù può prendere posto in noi: quel Gesù che, presente nelle nostre anime per la grazia, lo è più pienamente per la nostra corrispondenza ad essa.

Sì, vivendo così, Gesù è in noi, Gesù il maestro.

Ma Gesù deve vivere anche in mezzo a noi nelle nostre famiglie.

E qui è la presenza di Gesù che si verifica nell'unità dove due o più sono uniti nel suo nome (cf. Mt. 18,20): Gesù fra moglie e marito; fra mamma e un figlio; fra il padre e una figlia; fra la mamma e il nonno o la zia... Se Gesù sarà presente fra due componenti o più delle nostre famiglie, la sua presenza come maestro ed educatore sarà maggiore.

Ma come garantirci questa sua preziosa presenza in mezzo a noi? Lo sappiamo: ricostruendola quando fosse incrinata, alimentandola ogni giorno e mantenendoci aperti, anzi tutti protesi, verso gli altri componenti della nostra famiglia. Protesi, perché i primi prossimi da amare per chi sta in una famiglia sono proprio i familiari.

Sia che siamo, infatti, aderenti, o volontari, o focolarini sposati del nostro Movimento, sappiamo che per avere Gesù come maestro nella nostra famiglia, il compito a cui ci spinge il carisma dell'unità è quello di fare di questa cellula fondamentale della società un focolare. Questa è la nostra vocazione specifica, caratteristica. Non ci santifichiamo se non puntiamo su questo.

Proprio perché abbiamo posposto tutto, almeno spiritualmente, per seguire Gesù ("Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo" - Lc. 14,26 -), sentiamo ora ripeterci da lui stesso le parole: Tu non mi ami, se non ami prima di tutto la tua famiglia.

Sia dunque che siamo soli, sia che siamo in più nella nostra famiglia a vivere il nostro Ideale, Gesù il maestro sarà lì. E nei bambini che crescono in queste famiglie, con la vita data dai genitori, col latte della mamma, col cibo procurato da loro, con tutto l'affetto e l'assistenza che questa prima cellula della società offre, saranno inoculate tante idee di Gesù, idee evangeliche. Per cui essi cresceranno ragionando come ragiona lui e impareranno a vedere nell'umanità la grande famiglia dei figli di Dio: non crederanno più ciecamente ad alcun sistema, crederanno al Vangelo; non li attirerà alcun rapporto se non quello basato sul comandamento nuovo di Gesù; saranno figli nuovi.

Ed ecco così potenziata la vita divina ricevuta col battesimo. Ecco genitori che mettono in funzione quelle grazie che il sacramento del matrimonio mette a disposizione della coppia per il bene dei figli; genitori che collaborano con Dio nello sviluppo e nella crescita di figli Suoi.

Educare, trasformare i figli e l'intera famiglia. Farne una piccola chiesa, una realtà dinamica, aperta alla società circostante e alle sue necessità, orientando i figli a guardare oltre se stessi, agli altri e ai loro bisogni. E' un obiettivo altissimo, che in certi casi appare irraggiungibile. Ma non si deve mai disperare. Occorre al contrario orientarsi con fiducia verso il suo compimento.

E, per sapere come fare, guardiamo come lo Spirito ha spinto l'intera Opera di Maria a comportarsi, per far di tutti una sola cosa. Noi abbiamo accolto nel nostro Movimento anche persone di altre religioni o lontane da Dio. Amiamo queste persone come noi stessi; accettiamo con gioia quegli impegni che spontaneamente si assumono per essere parti integranti della nostra grande famiglia; li rendiamo partecipi di tutto il nostro patrimonio spirituale e materiale. Siamo l'Opera di Maria perché ci sono anche loro: senza di loro perderemmo la nostra identità.

Così deve essere anche nelle nostre famiglie. Chi è un po' lontano da questo o da ogni altro ideale cristiano, chi fosse d'altre idee o di altra fede, deve esser accolto da noi non solo con amore umano, ma con amore soprannaturale. Occorre valorizzare quel poco che egli dà alla famiglia, saper mettere in luce le idee buone, fra le tante meno buone, che lo animano; renderlo partecipe, per quanto è possibile, delle ricchezze spirituali e materiali della famiglia. Far tutta la nostra parte, insomma, per amare bene questo o questi figli in modo che essi, anche se non hanno ancora accolto la luce della fede, ricambino in qualche modo l'amore e la famiglia diventi un'espressione dell'Opera di Maria.

Del resto fare della famiglia una piccola cellula dell'Opera di Maria, o una piccola chiesa - il che è sinonimo - significa modellarsi proprio sulla famiglia di Nazareth, su quella famiglia che viveva nella maniera più concreta e divina con Gesù presente in mezzo ad essa. I suoi membri, per comporre questo capolavoro, amavano ognuno in modo soprannaturale e perciò per Dio e non per sé.

Maria, che era vera mamma di Gesù e vera sposa di Giuseppe, amava l'uno e l'altro non per sé, ma per Dio. E Giuseppe non amava Maria per sé, l'amava per Dio, come amava per Dio Gesù bambino, pur essendo suo padre putativo.

Sì, amare per Iddio. E il nostro amore è veramente purificato dagli attaccamenti umani se il nostro spirito è orientato sempre verso Gesù abbandonato.

Carissimi, potrei continuare a dimostrarvi come tutti gli elementi della nostra spiritualità sono adattissimi alla conduzione d'una famiglia. Ma voi questo lo intuite e lo sapete. Sì, col nostro Ideale possiamo avere il Maestro in casa. Rinnoviamo oggi il proposito perché egli ci sia. Su questa base anche tutto ciò che vi si offrirà di scienza ed esperienza nel campo pedagogico acquisterà valore.

Che la Madonna ci doni tante famiglie unite per il bene della società e della Chiesa. Per esse avremo oltretutto potenti mezzi per irradiare il Regno di Dio nel mondo. E sarà questa irradiazione verso altre famiglie e verso l'umanità che renderà la famiglia sempre più bella, più unita, più santa. E Dio non vuole forse questo oggi in cui si esige un laicato maturo e santo?

 


[1] Pubblicato in: Famiglia e educazione. Una proposta, Città Nuova 1988, p. 5-15.

 

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