Cadine (Trento), 9-10 ottobre 2010
(Chiara Lubich)
La carità è virtù importantissima, è tutto. Sarà bene, quindi, impegnarsi fin da subito a viverla un po’ meglio. E per farlo, occorre conoscere quali sono le cose che la rendono speciale.
Dice un pensatore: «Amare è bene; saper amare è tutto»[1]. Sì, saper amare, perché l’amore cristiano è un’arte e occorre conoscere quest’arte.
Ha detto un grande psicologo del nostro tempo: «La nostra civiltà molto raramente cerca d’imparare l’arte di amare e, nonostante la disperata ricerca di amore, tutto il resto è considerato più importante: successo, prestigio, denaro, potere. Quasi ogni nostra energia è usata per raggiungere questi scopi e quasi nessuna per conoscere l’arte di amare»[2].
La vera arte di amare emerge tutta dal Vangelo di Cristo. E metterla in pratica è il primo imprescindibile passo da compiere per poter scatenare quella rivoluzione pacifica, ma così incisiva e radicale che cambia ogni cosa. Tocca non solo l’ambito spirituale, ma anche quello umano, rinnovandone ogni espressione: culturale, filosofica, politica, economica, educativa, scientifica, ecc. È il segreto di quella rivoluzione che ha permesso ai primi cristiani di invadere il mondo allora conosciuto.
Arte impegnativa, con forti esigenze...
È un’arte che vuole si superi il ristretto orizzonte dell’amore semplicemente naturale diretto spesso quasi unicamente alla famiglia, agli amici. Qui l’amore va indirizzato a tutti: al simpatico e all’antipatico, al bello e al brutto, a quello della mia patria e allo straniero, della mia o di un’altra religione, della mia o di un’altra cultura, amico o avversario o nemico che sia. Occorre amare tutti come fa il Padre del Cielo che manda sole e pioggia sui buoni e sui cattivi.
È un amore che spinge ad amare per primi, sempre, senza attendere d’essere amati. Come ha fatto Gesù Cristo, il quale quando eravamo ancora “cattivi” e quindi non amanti, ha dato la vita per noi.
È un amore che considera l’altro come se stesso, che vede nell’altro se stesso. Diceva Gandhi: «Tu ed io siamo una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi»[3].
Quest’amore non è fatto solo di parole o di sentimento, è concreto. Esige che ci si faccia “uno” con gli altri, che “si viva” in certo modo l’altro nelle sue sofferenze, nelle sue gioie, nelle sue necessità, per capirlo e poterlo aiutare efficacemente.
Quest’arte vuole che si ami Gesù nella persona amata. Infatti, anche se questo amore è diretto a quell’uomo, a quella donna particolare, Cristo ritiene fatto a sé quanto di bene e di male si fa loro. Lo ha detto e lo ha ripetuto, parlando della grandiosa scena del giudizio finale: «L’hai fatto a me… L’hai fatto a me» (cf. Mt 25, 40).
Quest’arte di amare vissuta da più persone porta poi all’amore reciproco: in famiglia, sul lavoro, nei gruppi, nel sociale; amore vicendevole, perla del Vangelo, comandamento nuovo di Cristo, che costruisce l’unità.
Queste sono le caratteristiche dell’amore vero. Le esigenze che lo rendono speciale, e che cogliamo dal Vangelo.
[1] F.A.R. Chateaubriand, in Aforismi e citazioni cristiane, PIEMME, Casale Monferrato 1994, p. 17
[2] E. Fromm, L'arte di amare, Mondadori, Milano 1971, p.18.
[3] Cf r. Wilhelm Mühs, Parole del cuore, San Paolo, Milano 1996, p. 82.