Educatori, insegnanti, genitori, studenti da diversi continenti:

dialoghiamo insieme su quanto stiamo vivendo e sulle nostre attese per l’educazione

EdU - NH Incontro Zoom - 13 giugno 2020

 

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Emergenza coronavirus-educazione

Come la vivo e che cosa vorrei

 

Educatori, insegnanti, genitori, studenti da diversi continenti:

dialoghiamo insieme su quanto stiamo vivendo e sulle nostre attese per l’educazione

 

Sommario

Presentazione - Teresa Boi (Italia) 1

Introduzione - Cecilia Gatti (Argentina) 2

Intervento - Valentina Gomes (Pakistan) 2

Intervento - Alfonso Alarcón (Bolivia) 3

Intervento – Justus Mbae (Kenja) 4

Intervento – Jesús García (Spagna) 5

Introduzione ai gruppi – Maria Teresa Siniscalco (Francia) 7

Contributi dai gruppi (trascrizione chat) 7

Qual è la parola chiave che dice la mia esperienza in questo tempo?. 7

Quale domanda aperta mi porto dentro?. 8

Focalizzazione– Giuseppe Milan (Italia) 8

Saluti finali 9

 


Presentazione - Teresa Boi (Italia)

Un caro saluto a tutti.  Sono Teresa, sono italiana e sono un’insegnante. Vi do il benvenuto a questo incontro virtuale organizzato da EdU, -acronimo di educazione e unità- ispirato al pensiero e alla vita di Chiara Lubich. EdU è una rete internazionale di pedagogisti, insegnanti ed educatori, parte integrante dell’Organizzazione non Governativa New Humanity accreditata presso le Nazioni Unite e quindi presso l’UNESCO per quanto riguarda la cultura e l’educazione.

Condividiamo due grandi passioni: la prima per l’educazione come valore intrinseco alla piena realizzazione della nostra comune umanità e l’altra per il mondo unito, per quel processo, che coinvolge tanti, verso la realizzazione della fraternità universale.

In questi mesi l’emergenza scatenata dal Corona virus ci ha fatto sentire il mondo più uno anche nella sua vulnerabilità. Nella maggior parte degli stati le scuole sono state chiuse, impossibilitati ad incontrarci ci siamo trovati improvvisamente a vivere in modi diversi le relazioni educative. L’emergenza si sta gradualmente risolvendo, ma siamo consapevoli che questa esperienza ha cambiato la nostra percezione del mondo e dell’educazione.

Questo incontro è nato proprio con il desiderio di condividere pensieri, esperienze e riflessioni sul futuro dell’educazione. Per questo passo la parola a Cecilia, argentina, che coordinerà questo incontro.

 

Introduzione - Cecilia Gatti (Argentina)

Sono felicissima di condividere con voi questo spazio, che è stato pensato prima di tutto come luogo di incontro, un invito a fare un’esperienza dove troveremo tra noi persone dei cinque continenti, che svolgono ruoli diversi nel mondo educativo: docenti, studenti, genitori, politici.

Perciò, la sfida durante quest´ ora e mezza sarà condividere, come dice il nostro invito “Emergenza coronavirus: cosa come la vivo e che cosa vorrei”

La proposta che vi facciamo è un vero laboratorio pedagogico internazionale che tanti di noi, da anni percorrono. E che ci ha fatto scoprire l’importanza del dialogo come via, per tessere tra di noi relazioni profonde, dove mettendo in comune le nostre ricchezze personali e valorizzando le ricchezze, altrui come le proprie, si arriva a pensare a nuove strade per costruire un mondo più fraterno e solidale.

 

Frutto di questo percorso, invitiamo adesso quattro pedagogisti che condivideranno le loro prospettive nate della esperienza nei propri continenti: Valentina dell’Asia, Justus dell’Africa, Alfonso dell’America Latina e un gruppo di docenti dell’Europa.

 

Intervento - Valentina Gomes (Pakistan)

Valentina Gomes del Pakistan, docente di matematica presso una scuola media di Karachi.

 

Ciao. Sono Valentina, un'insegnante di matematica per le classi secondarie in una delle rinomate scuole di Karachi, in Pakistan. Insegnare non è stata una mia scelta, ma ho imparato ad amare la professione quando mi sono reso conto che è l'unico modo in cui possiamo apportare un cambiamento per il miglioramento della società. Ho visto come gli ex studenti sono tornati con gratitudine per quello che hanno ricevuto nei nostri istituti cattolici e continuano a lavorare come abili cittadini nel paese.

Il Pakistan sta affrontando una seria sfida per garantire a tutti i bambini, in particolare i più svantaggiati, di frequentare, soggiornare e imparare a scuola. Ci sono fattori socio-economici coinvolti. Mentre i tassi di iscrizione e di conservazione stanno migliorando, i progressi sono stati lenti per migliorare gli indicatori dell'istruzione in Pakistan. Si stima che 22,8 milioni di bambini di età compresa tra 5 e 16 anni non frequentino la scuola.

Siamo rimasti tutti sorpresi quando il 26 febbraio la provincia ha dichiarato che tutte le scuole sarebbero rimaste chiuse fino a nuovo avviso. L'avevamo sentito arrivare come molti altri paesi, come l'Italia aveva sofferto prima di noi, ma ora sembra che il mondo, e quindi ogni settore della società civile non sarà lo stesso, nemmeno l'istruzione. Già la mancanza di mezzi finanziari aveva reso impossibile per alcune famiglie persino pensare di mandare i propri figli a scuola; e ora questo. A scuola tenevamo lezioni normali e in questi giorni ci siamo concentrati su progetti extra curriculari e di progetto, tuttavia nessuno avrebbe potuto immaginare come il sistema sarebbe stato influenzato. È stata una chiamata verso l'essenziale nella vita, come la famiglia, la preghiera e, soprattutto, la salute.

Una parola chiave per raccontare la nostra esperienza

La parola che tutti usano in questi giorni è Stay at Home. È a casa e da casa e dentro casa che si svolgono attività e comunicazioni; così come alcuni studenti sono a casa, studiano a casa, in altre modalità è diventata una sfida mondiale, anche per noi la tecnologia ha dovuto essere padroneggiata in pochi giorni e gli esami annullati e la pianificazione fatta per ulteriori azioni. In questo processo, penso che sia stato sviluppato un forte lavoro di rete tra insegnanti, genitori e studenti in cui ognuno è stato reso più vulnerabile ma più fraterno. Ogni individuo, legato alla sezione, sta cercando di mettersi nei panni dell'altro, gli studenti aiutano gli insegnanti per la parte tecnica, i genitori pagano pazientemente le tasse, anche se potrebbero non aver ricevuto il loro stipendio completo e gli insegnanti gestiscono vari programmi da casa. La sensazione di avere una casa comune, che purtroppo è malata, aiuta a stabilire obiettivi comuni e in questo momento della storia, questi processi non dovrebbero essere indeboliti, secondo me.

Su quale priorità, sfida, domanda aperta devo (lavoriamo) in modo che il mio ruolo di insegnante sia una risposta valida all'istruzione di oggi?

Oltre all'apprendimento da questa situazione, che ha molte lezioni da darci, anche meccaniche, ho bisogno di assicurarmi che la situazione non diventi un motivo per allontanarsi dalla realtà dell'insegnamento e dell'apprendimento e mantenere un sano equilibrio per continuare il nostro lavorare come insegnanti. I mezzi disponibili non sempre consentono il massimo effetto, soprattutto quando penso di insegnare l'algebra con Zoom, ma ho avuto esperienze positive nell'uso della ricerca e della creatività che hanno favorito una lezione interattiva, in modo che uno studente abbia detto: "Miss, finalmente ho capito frequenza cumulativa"! La sfida dell'insegnamento attraverso lo schermo e l'incapacità di percepire il benessere emotivo in questa situazione di pandemia è la sfida che penso di dover affrontare. Il mio ruolo di insegnante non consiste semplicemente nel trasmettere informazioni, ma nell'aiutare gli studenti a dare un senso a tali informazioni in un contesto più ampio e quindi credo che, insieme al miglioramento di me stesso tecnicamente, ho bisogno di aggiornarmi psicologicamente e socialmente per essere in grado di rendere giustizia alla formazione di giovani adulti in modo che tutti possiamo uscire da questa crisi, rinnovata formata insieme.

 

Intervento - Alfonso Alarcón (Bolivia)

Alfonso Alarcón, di Cochabamba, Bolivia, professore di educomunicazione presso la Università Cattolica Boliviana. É impegnato nella valutazione delle storie e narrazioni popolare ed ancestrali che permettono capire ogni persona e cultura e trovare percorsi per migliorare. É direttore di un programma nazionale di comunità transdisciplinare con approccio collaborativo per affrontare problemi complessi in popolazioni vulnerabili in cinque province boliviane.

 

Qualche giorno fa ho sentito una frase di cui non conosco l´autore e che ha da vedere con quello che dirò: “Il cambiamento che vuoi fare nel mondo, i tuoi studenti lo fanno.

Oggi più che mai, abbiamo voluto essere vicini agli indigeni che vivono in campagna, con i quali abbiamo iniziato questa esperienza di comunità di apprendimento.  Questo ci ha portato a soddisfare i loro bisogni urgenti, spogliandoci della nostra posizione e conoscenza, per cui siamo venuti nelle loro comunità con qualche materiale di biosicurezza per dire loro che siamo vicini alla loro situazione, capiamo le loro paure e accompagniamo le loro ansie.

Lo abbiamo fatto senza fare molto rumore, ma davanti agli occhi dei nostri studenti, per dimostrare con l'esempio che non li abbiamo raggiunti per trarre vantaggio per soddisfare i nostri interessi come ricercatori, ma perché vogliamo costruire con loro una realtà di vicinanza e mutua collaborazione.

Oggi possiamo raggiungere queste comunità indigene come amici, perché, sulla base della chiamata del Papa a diventare un'università in uscita, in un contesto di ricchezza culturale ma anche di forte necessità, di limitazioni economiche e tecnologiche, abbiamo fatto molti sforzi per creare comunità di apprendimento transdisciplinare con l'aiuto di un kit delle metodologie partecipative e di service learning.

Potremmo raccontare diverse esperienze al riguardo, tra cui i giovani che mi dicono che non riescono più a lavorare solo per il voto - e si spera più tardi diranno per i soldi - ma per le persone che hanno bisogno di sostegno.

Oltre a ciò, è motivante vedere come i giovani sono desiderosi di provare azioni che abbiano effetti in contesti reali e problemi delle comunità a loro vicine. Allo stesso tempo, ciò che motiva i giovani è sapere che hanno qualcosa che possono insegnare e aiutarli a risolvere piccoli problemi in queste società.

In questo momento di pandemia, per esempio, stiamo lavorando per insegnare agli anziani a non “intossicarsi” di fake news, agli insegnanti più anziani di utilizzare le tecnologie digitali nelle loro classi e agli studenti per organizzare le loro attività in tempi di distanziamento.

Sicuramente abbiamo successi ma anche fallimenti: vere lezioni, principalmente legate ai delicatissimi rapporti interculturali che hanno bisogno di creare piattaforme relazionali, ma anche all'attenzione che dobbiamo prestare ai processi, piuttosto che ai prodotti.

Prima che la pandemia iniziasse con un gruppo di studenti abbiamo lavorato per diffondere una cultura della cura delle fonti d'acqua nelle popolazioni rurali di lingua quechua.

In questo contesto, quando i ragazzi hanno implementato il loro progetto hanno capito che per renderlo sostenibile era più importante insegnare tecniche di comunicazione a un piccolo gruppo di indigeni, in modo che essi stessi potessero replicare i processi di apprendimento in qualsiasi altra materia all’intera comunità.

Il risultato è stato che le comunità e i loro leader hanno capito l'importanza di questo e hanno deciso che da ogni popolazione avrebbero dovuto mandare i loro giovani ad allenarsi come comunicatori di comunità con i nostri studenti. Quindi questa attività avviata dagli studenti ora coinvolge un'intera regione e l'università stessa.

Lì, ho capito che "farsi uno", capire l'altro, soffrire con chi soffre, ho imparato queste cose da giovane con Chiara Lubich, può essere applicato molto bene nel mio lavoro di insegnante, nel trasmettere questa visione ad altre generazioni in modo che, a loro volta, continuino con il costruire società e realtà in cui, senza perdere identità, si possa realizzare un'onesta comunicazione interculturale e attivare processi di apprendimento non invasivi.

Quindi ho iniziato con la frase, “il cambiamento che vuoi fare nel mondo, i tuoi studenti lo fanno”. Concluderei dicendo che la situazione attuale conferma la nostra speranza, la possibilità che "insieme" possiamo cambiare il mondo.

 

Intervento – Justus Mbae (Kenja)

Justus Mbae, professore di pedagogia presso l’Università Cattolica di Nairobi in Kenya (Africa Orientale), docente e anche Aiuto Vice Cancelliere e Vice Cancelliere della stessa Università per dieci anni, prima di andare in pensione.  Attualmente fa parte del Comitato (Board) per il programma ‘Together for New Africa’ un programma per leaders giovani africani - uomini e donne- che lavorano per fare una differenza reale nella governance del loro continente. Questo programma è promosso dall’ Istituto Universitario Sophia di Loppiano, Firenze ed è accreditato presso l’ONG New Humanity.  Justus è il rappresentante principale per l’ONG New Humanity presso il nuovo ufficio dell’ONU a Nairobi in Kenya.

 

Sono Justus Mbae, un educatore del Kenya, e sono qui per condividere brevemente con voi alcune idee e preoccupazioni di alcuni educatori africani che hanno riflettuto su ciò che sta accadendo oggi nel Continente nel campo dell'educazione di fronte alla Covid 19 e ad altre pandemie.

“Ogni nuvola ha un lato positivo ed è nell'oscurità della notte che si vedono le stelle”. Insieme alle indicibili sofferenze e alla morte che ha inflitto al mondo intero, Covid 19 ci ha costretti a pensare e a riflettere su alcune cose che forse abbiamo dato per scontate, tra cui la nostra educazione. In Africa, abbiamo sempre apprezzato l'educazione per il ruolo vitale che svolge nel tenere insieme la società e nel preparare gli individui a prendere il posto che spetta loro in quella società. Negli ultimi tempi, tuttavia, c'è stato un apparente spostamento di attenzione da questa funzione comune dell'educazione a considerarla come un mero strumento o strumento per il progresso e la prosperità individuale con scarso riferimento alla società. L'attuale pandemia ci chiama a ripensare i nostri veri valori. Qual è il vero scopo e il vero significato della vita e come la nostra educazione è allineata alla promozione di tale valore e scopo? Qual è il vero valore o la vera funzione dell'educazione?

Per arrivare alla risposta a questa domanda, sembra che dobbiamo affrontare una questione più basilare, più fondamentale, cioè la realtà dell'Essere Trascendente (Dio) in Africa. Come diceva il defunto John Mbiti, grande filosofo e teologo africano, gli africani sono "notoriamente religiosi". La loro vita si fonda e si intreccia in modo intricato con la realtà del divino. Questa è la nostra realtà, la nostra identità e non possiamo scappare facilmente da essa. Purtroppo, però, e per ragioni che non possiamo raccontare qui, negli ultimi anni le nostre culture si sono lentamente allontanate da questa realtà. Nel corso del tempo, Dio è stato ufficialmente rimosso da molti dei nostri sistemi educativi e dalla vita di molti dei nostri popoli. Le conseguenze di questa separazione non sono state positive per l'Africa e pensiamo che sia giunto il momento di riportare Dio nelle nostre scuole e nelle nostre vite.

La nostra stessa filosofia Ubuntu, che ha sempre fornito agli africani un quadro o una visione del mondo entro cui comprendere e interpretare le nostre vite e le nostre esperienze, si fonda sul concetto di un dio che è responsabile di sostenere la vita e di tenere insieme la nostra società. Per avvicinare il nostro popolo agli ideali originali della nostra filosofia Ubuntu, dobbiamo riammettere Dio nei nostri sistemi educativi. Quando ciò accadrà, realizzeremo facilmente i nostri obiettivi, ormai sfuggenti, di stabilire una pace duratura, la giustizia, la speranza, l'unità e un maggiore senso di fratellanza.

Da molto tempo ormai i genitori si accontentano di portare i loro figli a scuola e di "scaricarli" agli insegnanti. Finché pagavano le tasse scolastiche, non c'era bisogno di immischiarsi nell'apprendimento dei loro figli. I genitori non erano molto motivati a partecipare a ciò che i loro figli stavano imparando. Questo prima di COVID 19. Oggi, con la chiusura delle scuole per paura di infezioni, i genitori devono sopportare i loro figli e non solo provvedere alle loro necessità quotidiane di cibo e di manutenzione, ma devono anche concentrarsi sempre più su ciò che sta succedendo in termini di ciò che i loro figli stanno imparando o che gli viene insegnato. I genitori non possono più essere semplici spettatori. Anche se non ci si può aspettare che comprendano appieno il contenuto, ci si aspetta che si interessino maggiormente e collaborino più strettamente con coloro che stanno dando un'istruzione ai loro figli.

Ma le pandemie non sono una novità in Africa. Si può anche dire che la nostra è una vita di pandemie ricorrenti. Se non è "ebola" o "malaria", è “colera” o qualche altra malattia mortale. E non stiamo combattendo solo le malattie che uccidono il corpo, ma anche quelle che, come la corruzione, la guerra, l'etnia e il tribalismo, minacciano di distruggere la nostra stessa psiche, la nostra identità e la nostra integrità. Quindi, cosa stiamo imparando da tutte queste pandemie e da Covid 19?

Covid 19 è diverso in quanto ha letteralmente bloccato le nostre attività di vita. Di fronte a questa pandemia abbiamo dovuto fermarci a riflettere. Dove siamo sempre stati troppo impegnati a vivere la nostra vita e a guadagnarci da vivere, ora abbiamo dovuto rallentare e guardare con attenzione a ciò che ci circonda. Ci ha costretti a pensare profondamente alla nostra vita "così com'è" e come "potrebbe essere". In questa riflessione, cominciamo a vedere un possibile nuovo futuro, una nuova "normalità" anche nel campo dell'educazione. L'Africa deve cogliere questa opportunità per pensare seriamente e trovare il modo di riparare i nostri numerosi sistemi in avaria, compresi i nostri sistemi educativi. Non dobbiamo permettere che questa opportunità vada sprecata. In tutto questo, dobbiamo essere guidati dai nostri valori tradizionali africani che sono fortemente orientati alla conservazione della società e alle relazioni umane. Per questo motivo, i nostri sistemi devono concentrarsi nuovamente sul porre l'etica e i valori della convivenza al centro dell'educazione nel nostro nuovo futuro, il nostro nuovo "normale".

 

Intervento – Jesús García (Spagna)

Jesús García, pedagogo spagnolo ci offre una visione frutto della comunione di circa 25 educatori in senso ampio che, anche se locale, può illustrar, in alcuni dei suoi aspetti, la realtà vissuta in Europa in questo tempo.

 

Ci siamo interrogati su quali parole chiave possono sintetizzare l’esperienza fatta. Sarebbero queste: lo sconcerto, la sofferenza e la commozione hanno fatto sì che nella vita educativa abbiamo sperimentato realtà vitali nuove e profonde. È stato un viaggio interiore dentro di noi educatori e dentro dell’educazione stessa. Ci siamo visti portati a “reinventare” metodologie, risorse e atteggiamenti educativi. Un processo molto accelerato di adattamento che diventava esame di coscienza al tempo che il superamento e lo sforzo acquistavano dimensioni mai immaginate prima, cosi ci superavano le sfide nate.

Inoltre, un’impensabile apertura della scuola alla famiglia ed altre realtà educative si è imposta come via da ripercorrere.

Fra le molteplici alternative, che poi non sono state alternative ma strumenti imprescindibili, due se ne sono manifestate con un protagonismo insolito: l’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e il lavoro in equipe.

Insomma, ci siamo “trovati” con l’essenziale dell’educazione e del nostro essere educatori. Un incontro vitale che ci ha fatto ricuperare e rivalutare il rapporto educativo come quel aspetto che deve essere privilegiato nel processo educativo e che si è rivelato il nucleo fondante di esso.

In una parola: l’educazione si è presentata più che mai come possibilità di fraternità, unendo in modo velocissimo tutti i membri della Comunità educativa.

Questo insieme di esperienze e riflessioni hanno lasciato però alcune domande aperte, interrogativi, che ci portano a chiederci quale sia il futuro prossimo e radicale di ciò che l’educazione comporta...vorremmo sintetizzare cosi...

In primo luogo, ci apre un grande interrogativo sulle nuove forme di lavoro ed in particolare sulla nostra capacità e disponibilità per il lavoro in equipe, non soltanto fra i docenti ma con le famiglie ed il resto dei membri della comunità educativa.

Una seconda questione ci porta ad una revisione dei contenuti stessi, e cioè, fino a che punto è necessario includere vie di apprendimento più esperienziali, più relazionali o cooperative nel processo di apprendimento; lo sviluppo delle competenze digitali, la flessibilità ed arricchimento del curriculum e come questi aspetti possono far crescere la motivazione dell’alunno. È una chiamata a sviluppare vitalmente certe competenze un po’ trascurate come la coscienza ecologica che adesso è qualcosa di tangenziale nella pratica. Anche l’educazione emozionale sia nel quotidiano sia nella formazione dei docenti.

Una terza domanda riguarda la revisione profonda del tipo di persona che vogliamo, quale persona potrà affrontare il mondo del futuro. Questo ci obbliga a rivedere priorità nei fini e nei metodi, cambiamenti nelle strutture accademiche, e soprattutto al superamento delle proprie paure e limitazioni davanti a questi cambiamenti epocali. Quali strutture ci possono condurre ad una educazione più umana ed inclusiva, ed a una coscienza maggiore delle nostre fortezze e debilità. Abbiamo bisogno di trovare strategie di motivazione che senza trascurare l’eccellenza educativa, aiutino tutta la comunità a collocare l’imparare al di sopra dei risultati.

Un altro interrogativo, una vera sfida, sono le Tic’s... sia l’uso propriamente strumentale nell’apprendimento non presenziale sia anche il suo uso inclusivo, che significa ridurre il massimo qualsiasi divario nato da esse. E non solo quello economico, ma anche quello che riguarda il mondo dell’educazione degli adulti, o degli alunni con necessità educative speciali (fisiche o psichiche). Questo porta necessariamente a pensare nuove vie formative per le famiglie e per i docenti.

Finalmente, una questione essenziale. Come potenziare la scuola come un vero spazio di rapporti? Come ri-personalizzare l’educazione, collocando il rapporto educativo nella sua spina dorsale, considerandola il motore che spinge, motiva ed è capace di riuscire a superare qualsiasi difficoltà?

Per concludere si è messo di rilievo come non mai, il bisogno di un vero PATTO EDUCATIVO, coerente, serio, intelligente, lontano dai posizionamenti ideologici polarizzati, davanti a questioni che coinvolgono l’essere umano nella sua complessità ed integrità, un patto che esige capacità di dialogo e conciliazione.

 

Introduzione ai gruppi – Maria Teresa Siniscalco (Francia)

Mimma Siniscalco, lavora nel campo della ricerca educativa e collabora come volontario in un’associazione che fa corsi di sostegno a studenti in difficoltà.

 

Qualche parola per introdurre e prepararci a questo momento di dialogo.

Pensando a questo collegamento ci sembrava importante che tutti avessimo la possibilità di dare il nostro contributo. E quindi abbiamo pensato di sfruttare una delle possibilità della tecnologia che è quella di dividerci in gruppetti di 5 o 6 persone, ritrovandoci in “stanze” virtuali diverse, in modo che in ogni gruppo ciascuno possa parlare e ascoltare.

Questo momento in piccoli gruppi vuole essere un’occasione per condividere quello che abbiamo capito e sentito in questo periodo e per ascoltarci reciprocamente. Ascoltarci con attenzione e curiosità. Cerchiamo quando l’altro parla di essere lì completamente per lui, cogliendo la novità che porta e mettendoci al suo posto per vedere le cose dal suo punto di vista. Forse l’essenza di questo momento è proprio l’ascolto collettivo. In questo modo possiamo fare spazio a una nuova comprensione, alla quale contribuisce ciascuno, ma che va oltre la somma delle parti.

Per guidare il dialogo abbiamo due domande:

  • Una parola chiave che dice la mia esperienza in questo tempo
  • Quale domanda aperta (= interrogativo, aspirazione, speranza, bisogno di cambiamento) mi porto dentro come educatore o come studente oggi?

Per il dialogo avremo un tempo di 20 minuti. Ciascuno quando prende la parola può dire oltre al suo nome, in quale parte del mondo si trova e poi la sua risposta a queste due domande, facendo attenzione a parlare per 2 o 3 minuti, perché tutti possano parlare. Ci sarà un avviso che ci dice che mancano 5 minuti alla fine del tempo in gruppo, così potremo regolarci con i tempi. Dopo ci ritroveremo di nuovo tutti insieme in plenaria. È un esperimento, proviamo insieme.

Ora prendiamo un bel respiro profondo per arrivare qui pienamente, essere presenti al 100%. Lasciamoci interrogare dalle due domande che vedete anche scritte nella chat. E prendiamo carta e penna e scriviamo la nostra risposta, pensando al nostro vissuto, a quello che sentiamo. Scrivere ci aiuterà nel dialogo ad andare all’essenziale.

  • Qual è la parola chiave che dice la mia esperienza in questo tempo?
  • Quale domanda aperta mi porto dentro?

Mentre scriviamo Andrea ci divide in gruppetti.

 

Contributi dai gruppi (trascrizione chat)

 

Qual è la parola chiave che dice la mia esperienza in questo tempo?

La bellezza della flessibilità – la bellezza del cambiamento – normalità del cambiamento

Innovatività - tanta pazienza – flessibilità- disagio- creatività- sfida- disagio fonte di creatività- innovazione - ascolto dell’altro- sorpresa - prudenza – ascolto profondo - essenzialità - pazienza - comunione– tecnologia- integralità – isolamento- didattica a distanza- bisogno di relazione- bisogno di contatto- coinvolgimento familiare- collegamento- speranza – giustizia- insieme come educatori siamo sempre più forti- trascendenza – persona al centro –capitale umano – autonomia scolastica – valutazione non giudicante ma promuovente– follia educativa – passione educativa – solitudine – apprendimento – scelta – coinvolgimento – integralità- isolamento – solitudine della didattica a distanza - bisogno di condivisione - bisogno di più contatti- Avere uno sguardo planetario – interazione profonda- follia educativa- formazione più umana – accompagnamento.

 

Quale domanda aperta mi porto dentro?

Riuscire a vedere la bellezza della flessibilità, la bellezza del cambiamento, la normalità nel cambiamento.

Non restare nel disagio ma vedere nel disagio la fonte della creatività.

Vedere tutto in senso positivo, cercare il vivere bene al di là di tutto.

Cercare la trascendenza.

Mettere al centro la persona?

Generare un dialogo con tutti anche se la tecnologia a volte aiuta a volte rede difficile la comunicazione.

Mantenere lo sguardo su chi non ha i mezzi tecnici e non ha abbastanza aiuto da parte della mamma e del papà.

Dare maggiore importanza alla famiglia nel processo educativo, nel rapporto con le istituzioni educative.

Rendere la relazione educativa più efficace e più umana

Approfondire a livello personale e collettivo la valutazione non giudicante ma quella che promuove i ragazzi.

Fare delle scelte in modo da accompagnare i ragazzi non solo nel processo di apprendimento ma nel saper compiere delle scelte.

Avere uno sguardo più attento per i più vulnerabili.

 

Focalizzazione– Giuseppe Milan (Italia)

Giuseppe Milan è professore ordinario di pedagogia interculturale all’Università di Padova. Insegna anche all’Università di Trento e all’Istituto Universitario Sophia.

 

Trascrizione

Cecilia: Invitiamo Bepi Milan a darci un contributo finale, ad ordinare e a sottolineare alcuni concetti di questo nostro incontro.

Bepi: È un compito difficilissimo e non provo neanche a tentare di sintetizzare quello che è stato detto! È bellissimo vedere che siamo tantissimi, lontani perché siamo anche di continenti diversi e vicini, non dico ma vicini, lontani e vicini; c'è una vicinanza che ci fa dire che questa dimensione dell'interculturalità, dell'interdipendenza, del dialogo a livello planetario, al di là dei confini, è una realtà possibile, è una realtà che tutti possiamo percorrere. Quindi questo è bellissimo!

Un'altra cosa che mi ha colpito fin dall'inizio e quando il professor Justus ha detto: «nell'oscurità della notte si vedono le stelle». Ecco io ho pensato che in questo momento finale sto facendo delle considerazioni, non un tema, sono delle considerazioni veloci dopo quello che ci siamo detti e la parola considerare, il verbo considerare, la parola considerazione vuol dire: con le stelle. Quella frase che Prof Justus ha detto «nell'oscurità della notte si vedono le stelle», mi sembra, rappresenti quello che noi stiamo considerando insieme. Abbiamo vissuto momenti di oscurità, ancora li viviamo, probabilmente oscurità, anche della scuola, però credo che anche per l'esperienza che qui abbiamo detto abbiamo delle stelle che ci accompagnano e le stelle sono anche le persone, le esperienze, le vostre case, le vostre scuole, le vostre comunità bellissime le comunità indigene dove alcuni lavorano. Quindi bellissimo quello che è stato detto: restare a casa, vivere questa capacità di sosta, questa lentezza bellissima che ci permette di essere attenti alla realtà che viviamo. Abbiamo colto nelle esperienze che ci sono state date l'attenzione ad essere protagonisti nella relazionalità, nel dialogo con gli altri, nello stare a casa.

Abbiamo vissuto insieme quello che è una dimensione fondamentale della ricerca educativa e noi vorremmo essere ricercatori, e nella ricerca c’è anche la lettura attenta di ciò che c'è nel reale, di ciò che ci sfida. Ed è stata una sfida, è stata un’oscurità all'interno della quale c’era tutta la fatica, il disorientamento, ma anche una serie di desideri. Molti in questo periodo hanno detto e dicono: nella scuola nulla sarà come prima! Certamente nulla sarà come prima. Noi vorremmo e ne abbiamo avuto esperienza che nulla sia come prima e che questo voglia dire che sarà meglio perché andremo ad aumentare l'umanità, ad arricchirci. Il rischio è anche quello di disperdersi e anche quello di perdere la fiducia negli altri e quello di ostruirsi.  Ecco quindi direi nulla sarà come prima però il meglio e le speranze che sono emerse dalle vostre parole ci dicono che la possibilità di andare in meglio c'è e possiamo essere protagonisti insieme proprio come poco fa diceva il professor Sami Basha ed altri: «Il fatto di essere insieme in tanti fa si che questa speranza di miglioramento sia una realtà». Per questo il migliorare implica agire, implica combattere, implica in italiano diciamo sporcarci le mani e impegnarci, metterci un pegno, metterci una difficoltà.

Ecco perciò credo che l'esperienza nostra, quella anche di EdU, di fronte a queste speranze, a queste prospettive veramente impegnarci per costruire concretamente azioni, esperienze che poi diventano per noi, azioni eccellenti che possiamo scambiarci. Ecco che l’arricchimento tra di noi può diventare davvero elemento di cambiamento, non solo nel nostro locale ma anche dalla prospettiva globale, che qui rappresentiamo.

L’augurio è che le nostre diventino azioni produttive per un mondo come si diceva prima mankind, migliore.

 

Saluti finali

Teresa: un grazie per questo momento di dialogo aperto e profondo che ha lasciato veramente una gioia dentro di noi, con tanta speranza nel futuro dell’educazione, nella possibilità di collegarci ancora. Sappiamo che tanti non hanno potuto entrare in questa nostra stanza, per questo ci diamo appuntamento per un prossimo collegamento. In futuro organizzeremo altri momenti. Aspettiamo i vostri commenti nella chat, già ci sono, ma anche potete inviarli nella mail che trovate nell’invito. Auguriamo buone vacanze, per quella parte del mondo che inizia le vacanze e buon lavoro a chi invece continua le sue attività, chi ancora lavorerà con una didattica distanza oppure alcuni sono gia ritornati a scuola con una didattica in presenza.

Ci salutiamo con una rinnovata speranza nell’educazione e con il desiderio di andare avanti insieme! Ciao a tutti!

 

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Sono numerosi gli studenti che hanno scritto e discusso tesi di laurea dando un loro contributo al comune cammino di ricerca mondiale per una "pedagogia dell'unità".

Nella sezione "Studi e ricerche" stiamo pubblicando brevi sintesi di questi lavori e chiederemmo a tutte e tutti coloro che lo desiderano di inviarceli (con eventuale recapito mail per prendere contatti).