Bologna - Benevento, 6 novembre 2008
(Commissione EdU)
1. LIBERTÀ - VOLONTÀ
Quello di “libertà” è un concetto intrinsecamente pedagogico, fondamento, fine e mezzo dell’educazione stessa, condizione metodologica che sta alla base di ogni processo d’apprendimento, di realizzazione personale e sociale. Libertà, quindi, come stato e atto proprio della coscienza, il suo dinamismo più autenticamente umano[1].
Infatti, se viene negata la libertà come atto coscienziale[2], non restano che il crudo determinismo bio-psichico come unico regolatore del comportamento umano[3], il semplice spontaneismo legato al “principio di piacere” o l’alienante socializzazione di un potere tecnocratico senza volto[4]. Si tratta di rischi per molti versi legati alla nostra attuale condizione postmoderna che, non riuscendo ad innalzarsi “oltre” i suoi stessi frammenti, non può spiegarsi, né spiegare e promuovere quell’ “attività della coscienza” che è sforzo coerente e intenzionale[5] di pensiero, di ricerca di un ordine intelligibile, riguardante sé e il mondo.
Ne consegue che non si può aspirare ad essere liberi se non si vuole esserlo, se non ci si pongono delle mete o non si fanno i passi necessari per raggiungerle[6].
Questo ci introduce al concetto di volontà. Limitandoci all’uso di questo termine nel linguaggio corrente, si può vedere come in passato sia stato usato come sinonimo di “volontarismo”[7], come dominio della volontà sull’intelletto, tanto da credere che “basti volere”[8]. Oggi “volontà” è percepita spesso in senso negativo, associata a “costrizione”, autoritarismo; di conseguenza, anche “libertà” viene identificata piuttosto con “desiderio”, “piacere”, “sensazione”. Noi crediamo, invece, che occorra ritornare a parlare della volontà, di questa fondamentale capacità umana, da cui dipendono le opzioni di valore e di decisione[9]. In pratica, volontà come atto di libertà[10].
Si comprende così che l’espressione di Chiara Lubich (con la prassi di vita che ne è seguita) “cedere liberamente la propria volontà” non significa una passiva sudditanza o un irresponsabile abbandono di qualsiasi iniziativa personale o sociale, ma libera risposta ad un Ideale, ad un Progetto condiviso o a una Persona di cui ci fidiamo. Un percorso in positivo, che non è solo cammino di fede[11], ma di autentica realizzazione umana, che non può prescindere dalla ragione e dalla libertà[12] del singolo.
Il primo compito dell’autorità educativa, perciò, non è quello di comandare, ma “di far amare la legge e di far conquistare la libertà spirituale[13]nell’esecuzione della legge giusta”[14]. Infatti, “l’eccellenza dell’uomo, il bene proprio dell’uomo, è precisamente fare ciò che è giusto per il fatto che egli è libero.”[15].
Scrive a questo proposito Bernard Lonergan: “Mentre un’etica della legge riguarda regole di condotta (“non fare questo”, “non fare quello”), un’etica della realizzazione rivela che c’è il mondo e che, all’interno di esso, c’è qualcosa da fare per me”. Essa include l’idea di vocazione, come orientamento e ricerca intelligente, di fedeltà al bene. In questo senso, “un’etica della realizzazione è più positiva di un’etica della legge”[16].
Il binomio libertà-volontà, quindi, rappresenta lo sfondo su cui si colloca l’azione educativa stessa, poiché “la prima condizione per essere libero è di volerlo”[17], una dimensione che rimanda al concetto di “auto-appropriazione” e “autoconsapevolezza” dei propri dinamismi emotivi, di pensiero e di coscienza.
Una strada che per ogni uomo equivale ad una chiamata all’essere, alla sua unità[18], al pieno compimento della vita, che per esser tale implica una direzione, un orientamento e una risposta responsabile verso il “dover essere”[19]. Non un’azione puramente intellettuale, astratta, o solo emotiva[20], ma che coinvolga l’essere intero, la sua giusta “passionalità”[21], la sua intelligenza e ricerca di senso, la sua relazionalità più autentica, quale espressione dell’amore iscritto nel DNA di ogni persona.
La volontà, perciò, è un atto complesso, di per sé non automatico. È un lungo cammino di tutta la vita, che richiede rinnovato esercizio, adeguati incoraggiamenti e verifiche.
È stato prima sottolineato il binomio che lega volontà e libertà di scelta, ma esso non sarebbe di per sé spiegabile se, a sua volta, la volontà non fosse vista nella sua intima compenetrazione con lo sviluppo della motivazione, che riguarda le modalità educative attraverso cui promuovere la coscienza e lo sforzo di tutto l’essere alla ricerca di un senso e di un compimento. Un percorso di crescita interiore non certo facile, irto di incertezze, di errori e di adattamenti, di fatica. Esso si configura prima di tutto come sollecitazione e potenziamento della coscienza, vista nella sua triplice dimensione: come conoscenza-coscienza di sé, come conoscenza della realtà fuori di sé e come “adesione a ciò che è degno”, verso ciò che è Bene[22].
Da questo punto di vista, compito dell’educatore è creare un contesto di apprendimento che faciliti la volontà di fare e di apprendere attraverso un continuo processo auto-formativo. E da qui l’importanza di motivare e di sostenere la fatica (nello studio, nella fedeltà, nella coerenza…). Far fatica[23], perciò, non è indizio di malattia: è indizio di umanità[24].
Per i grandi educatori, per i veri maestri, il processo di motivazione della volontà non coincide con una pedagogia negativa, tesa a colpire l’errore, ma con una pedagogia positiva, d’empowerment[25], di sistematica valorizzazione delle potenzialità e delle risorse di ciascuno[26].
È quanto messo in rilievo anche dalla ricerca psicopedagogica che ha dimostrato la stretta connessione tra motivazione e qualità della relazione educativa; e, in particolare, anche dagli studi sulla “resilienza” (la capacità di resistere e di reagire costruttivamente a situazioni traumatiche), che hanno evidenziato come la capacità di riorganizzazione positiva della vita (di “ricominciare”, cioè) sia strettamente correlata con la possibilità di sperimentare legami significativi a livello educativo[27]. In tal senso, un ruolo determinante è assunto dal rapporto di fiducia, dal “carisma”, dalla forza attrattiva esercitata dall’educatore, con il suo coraggio, pazienza, slancio generoso e costruttivo.
Con Antoine De Saint Exupery possiamo affermare: “Se vuoi costruire una nave, non chiamare la gente che procuri il legno, che prepari gli attrezzi necessari; non distribuire compiti, non organizzare il lavoro. Prima invece sveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato”[28]. E’ compito dell’educazione, quindi, risvegliare nei ragazzi la voglia di apprendere, la motivazione –appunto- a scoprire e a realizzare il “sogno” che è in loro, ciò che portano dentro di sé, come loro vero essere[29].
È sotto i nostri occhi come un’educazione libertaria induca spesso i giovani alla passività, a lasciarsi vivere; mentre, all’opposto, un’educazione autoritaria li porti più facilmente ad identificarsi con il potere del più forte, ad utilizzare la volontà in negativo, in una lotta di sopraffazione e di morte.
Una volontà in positivo, invece, è volta alla promozione di qualcosa che ha valore. Un discorso che rimanda a quella fondamentale mediazione che deve intercorrere tra senso di realtà e senso di speranza, e che allude all’esercizio della responsabilità,che chiede di rispondere alla verità di quello che la coscienza ci indica come valore. Un percorso intenzionale, che si accompagna spesso alla consapevolezza del proprio potere[30], che, mentre si protende verso il “possibile”, il “desiderabile”, l’Ideale, deve saper far i conti con i limiti e i vincoli stessi della persona, del contesto, della realtà nel suo insieme.
Sappiamo quanto oggi le persone fatichino a gestire il limite. Che nesso c’è tra il limite e la libertà? C’è identità senza limite?[31].
Se è vero che la persona libera è quella che riesce anche a mettere un limite a se stessa, cioè ad auto-regolarsi, vuol dire che è libero chi riesce ad essere prima di tutto “autorità” nei confronti di se stesso[32].
Dal punto di vista pedagogico, però, sappiamo che noi possiamo diventare persone capaci di discernimento e di scelta se abbiamo fatto esperienza dell’autorità di qualcun altro. In pratica, la capacità di autogoverno matura se l’educando ha fatto esperienza di qualcuno che a sua volta lo ha messo di fronte a dei limiti. Ecco in che senso la libertà personale, quasi paradossalmente, è generatadall’autorità di qualcun-altro da sé.
Potremmo, a questo punto chiederci “Quale autorità?”.
Occorre distinguere evidentemente tra autorevolezza e autoritarismo. La persona che esercita l’autorità in senso vero (nel senso di auctoritas, dal latino augere, “far crescere”), opera diversamente da quella autoritaria perché, non riconoscendo in se stessa la fonte del limite, ma riconoscendola in qualcosa di superiore (il bene, il vero, il giusto), ella stessa si assoggetta, per prima, ai limiti che pone agli altri, diventandone così testimone credibile[33].
A volte è più facile dire di sì ai nostri ragazzi che dire di no, ma è proprio questa l’ingiustizia più grave che dovremmo evitare di commettere nei loro confronti. Aiutiamoli nella progressiva conquista del senso delle regole, una condizione di civiltà e di progresso oggi più che mai necessaria.
La regola è spesso percepita in senso repressivo e, in qualche misura, limitante la libertà individuale e sociale. Rovesciandone la lettura, però, la regola potrebbe esser vista anche nella sua dimensione promozionale, di garanzia dei diritti, finalizzata a migliorare, ordinare, aiutare. È facendo i conti con la regola che ci si allena al limite, ad affrontare la vita come sfida che chiede di andare oltre il solo principio di piacere, oltre l’egocentrismo[34].
Questa condizione di una “libertà limitata”, propria di chi non percepisce sé come assoluto, è una condizione perfettamente coerente col fatto che noi crediamo che l’essere umano è creatura. Ed è dentro questa nostra creaturalitàchesta tutto il paradosso di quello che siamo, forza e potenza creativa dell’intelligenza e dello spirito, ma contemporaneamente limite-vulnerabilità-dipendenza di una vita che sente di non essere autosufficiente, non la “causa prima di sé”, ma guidata da un disegno intelligente che deve saper scoprire e potenziare lungo il proprio cammino di sviluppo e di civiltà. Da questa prospettiva, la volontà può esser vista come la guida più preziosa dell’intelligenza stessa. Infatti, è “per mezzo della volontà, quando è buona, che l’uomo diventa buono e retto”, tanto da poter dire con Jacques Maritain che, anche se si pensa che l’intelligenza per se stessa sia più nobile della volontà, perché più immateriale e universale, dal punto di vista pratico “sia meglio volere e amare il bene piuttosto che conoscerlo soltanto”[35].
4. EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA E COMUNITÀ EDUCATIVA
Il concetto che unifica libertà-valori ci pone, perciò, davanti all’importanza di avere un bene di riferimento comunemente accettato, un aspetto questo che si può collegare con il rapporto ragione-verità. Come sottolinea Fernando Savater, la ragione è una “facoltà universale” che tutti posseggono, tanto che “con pazienza e attenzione tutti potremmo convenire sugli stessi argomenti in relazione a determinate questioni”...e così “tracciare una gerarchia delle idee in una società non gerarchica, potenziando le più adatte ed eliminando quelle sbagliate e dannose. In una parola, cercando la verità”, intesa come orientamento e guida per la ragione stessa[36].
Occorre quindi una bussola, senza la quale la conoscenza rischia di essere illusoria[37]. Si ritorna così al vasto tema della coscienza come nodo centrale dell’educazione, vista quest’ultima nel suo dinamico processo di ricerca, d’interazione interno-esterno, tra sé e altro da sé, di finito-infinito; un apprendimento continuo, lungo tutto l’arco della vita, fatto di attenzione e ascolto, di emozione, di riflessività e di scelta, di responsabilità e intraprendenza.
È la scoperta di una via, di un metodo: vivere in un costante de-centramento e riconoscere che il mondo non è governato dalla casualità, ma che, anzi, vi è un disegno che è iscritto nel cuore di ogni uomo e nella storia.
Non v’è dubbio, quindi, che, se l’educazione deve tendere allo sviluppo delle coscienze personali, al tempo stesso deve dar spazio all’educazione di una coscienza collettiva[38]. In questo senso, la coscienza è vista nella sua tipica natura interazionale[39], come confronto e scambio sociale, di reciprocità, frutto di un complesso processo di costruzione di norme condivise, di un procedere insieme, di un“agire orientativo verso l’intesa”[40]. Ciò richiede di non percepire solo se stessi come centro del mondo, ma di coltivare una volontà cooperativa per dar vita a una vera comunità, intesa non solo come “comunità di ricerca”, ma soprattutto come “comunità in ricerca”, come comunità di vita.
Da qui si comprende quanto sia irrinunciabile riconoscere il valore della volontà, una delle più grandi sfide educative di ogni tempo e di ogni luogo. A noi educatori, per primi, sono richiesti riflessione, chiarezza nelle finalità e nel metodo, coraggio. Ancora un nuovo, generoso slancio per l’educazione.
[1] Mentre le azioni dei primati non umani sono guidate da pulsioni, quelle degli uomini sono orientate anche da ragioni-motivazioni-scopi che possono trascendere le pulsioni stesse (cfr. Searle J.R., La razionalità dell’azione, Cortina, Milano 2003). L’apporto delle neuroscienze allo studio dei correlati bio-psicologici degli atti volontari è senz’altro di grande aiuto per cogliere i fattori condizionanti la volontà. anche se essa non può ridursi ai soli meccanismi di funzionamento delle strutture cerebrali.
[2] Riprendendo un’acuta osservazione di H. Ey, potremmo sostenere che “la patologia mentale è la patologia stessa della libertà”, proprio per le limitazioni che essa comporta nell’esercizio della libera volontà (Ey H., Bernard P., Brisset C.H., Manuale di psichiatria, Masson , Milano 1977, p.71).
[3] Per Freud, l’attività umana è rigorosamente determinata e la libertà una mera illusione; è la Necessità che domina la vita (cfr. Arieti S., Le vicissitudini del volere, Roma, Il Pensiero scientifico, 1978).
[5] Ravaisson J. G, F., Dell'abitudine (cfr. Hernán M. G., El hábito en la filosofía de Félix Ravaisson, Centro de Publicaciones de la Pontificia Universidad Católica del Ecuador, 1976).
[6] Da un punto di vista evoluzionistico, nasce il problema di distinguere i processi del mondo naturale (la cui evoluzione per variazione-selezione conduce ad una “direzionalità”) dai comportamenti degli esseri umani i quali sono dotati di scopi associati a valori. Solo gli scopi dei comportamenti volontari sono capaci di condurre a un progresso (cfr. Azzone G.F., La libertà umana. Il ruolo della mente nella creazione del mondo, Bollati-Boringhieri, Torino 2005, p.162). Infatti, non è azzardato sostenere che “la volizione costituisca il fenomeno più evoluto della mente umana” (Eusebi L., Dinamiche della volizione e libertà, Vita e Pensiero, Milano 2008), tanto che l’uomo, in quanto uomo, “è costretto a vagliare alla luce del pensiero ogni singolo impulso, per vedere se è lecito seguirlo senza offendere i valori di civiltà da lui stesso creati” (Lorenz K., L’anello di Re Salomone, Adelphi, Milano 1967, pp.252-254).
[7] Come puro atto di auto-repressione delle pulsioni il volontarismo “comporta il rischio della malattia nevrotica”, come sostiene S. Freud, fuori dalla coscienza ma forzata adesione ad una regola formale (Freud S., Introduzione alla psicanalisi, Torino, Boringhieri, 1970, p.444). Da questo punto di vista il problema educativo non consiste nello sviluppo della volontà ma nell’apprendimento-svelamento dell’inconscio.
[8] Assagioli F., L’atto di volontà, Roma, Astrolabio, 1977; cfr. anche Adler M.J., Liberalism and Liberal Education, “The Educational Record”, luglio 1939, pp.435-436 cit. in J. Maritain, Per una filosofia dell’Educazione, La Scuola, Brescia 2001, p.84.
[9] Come ha affermato Papa Benedetto XVI:“un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza, quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà” (Benedetto XVI, 19 ottobre 2006).
[10] Da questo punto di vista, possiamo sostanzialmente intendere il rapporto educativo come un “incontro nella libertà”, che deve sempre tener conto della libertà dell’educando, che può rispondere o non rispondere (cfr., Giussani L., Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005).
[11] Da un punto di vista teologico, approfondendo questo concetto nel suo discorso a Washington, Chiara Lubich affermava: “La fedeltà alla Parola di Dio ci ha anche abituati a "perdere la nostra cattiva volontà", quella che ancora ci lega alle anguste modalità esistenziali dell'Io autocentrato, e a seguire la volontà di Dio, che ci porta al continuo autotrascendimento verso il Tu che ci arricchisce e ci libera. Di norma nell'educazione morale della persona, dalla necessaria fase iniziale di dipendenza si passa gradualmente alla moralità autonoma. Anche nella nostra esperienza avvertiamo il passaggio educativo dall'iniziale adesione ad una volontà altra, alla Sua legge - che si manifesta in tanti modi, alla quale ci aggrappiamo come un bambino che si affida totalmente alla guida dell'adulto , avvertiamo il passaggio da questo alla forte percezione di libertà per l'interiorizzazione della Legge stessa, quando sentiamo che essa è diventata nostra legge, quando essa è così impressa in noi da farci sentire adulti proprio perché in grado di dire: "Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me." (Lubich C., Lezione per la Laurea h.c. in Pedagogia, Washington, 10 novembre 2000).
[12] Ragione e libertà rappresentano quel binomio indispensabile del comportamento morale che secondo Ayala F. dipende da tre fondamentali capacità: - di prevedere le Conseguenze; - di esprimere Giudizi di valore; - di scegliere tra diverse Alternative (The biological roots of morality, “Biol.Phil.”2, pp.235-252, 1987., cit. in Azzone G.F., La libertà umana…, pp.190-191).
[13] L’osservanza delle leggi civili, dei doveri del proprio stato non deve essere un atto esteriore o doveroso, ma deve nascere nel cuore dell’uomo dove si scopre il fondamento stesso della legge. Jaques Maritain afferma che: “Chi è guidato dallo Spirito non è più sotto la legge;.. non è che egli sia al di sopra della legge; ha compiuto un salto qualitativo: si è inserito nella più intima essenza della legge;considera la realtà da quel punto di vista per cui la legge non è più guardata dal di fuori, come legge, ma dal di dentro come amore” (Maritain J.., Dizionario delle opere, a cura di Viotto P., Città Nuova, Roma 2003, p.223).
[14] Nosengo G., La persona umana e l’educazione, Uciim, Roma 1958, p.111.
[15] Lonergan B.J.F., Sull’educazione, Roma, Città Nuova, 1999, p.70.
[17] Seguin E.,Report on Education, Scholars Facsimilies & Reprint, USA 1999.
[18] “L’educazione e l’insegnamento non devono mai perdere di vista l’unità organica del loro compito, né il bisogno radicale dello spirito di liberarsi nell’unità. Se un uomo non riesce a superare la molteplicità interna delle forze che lo trascinano…, egli rimarrà piuttosto uno schiavo che un uomo libero” (Maritain J., Per una filosofia dell’educazione, La Scuola , Brescia 2001, p. 126).
[19] S.Agostino afferma infatti: “Tu ci hai creati per te, Signore, ed i nostri cuori sono inquieti finché non riposano in te”, (Confessioni, I, 1).
[20] L’emozione riflette le risposte istintive dell’organismo, mentre il sentimento esprime la riflessione mentale sull’emozione (cfr. Damasio A.R., Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000). Le persone, quindi, non decidono solo in base a pure elaborazioni cognitive, ma dentro un ampio contesto di fattori, da quelli biologici, a quelli psichici, sociali, culturali, spirituali entro cui si muove la storia di ciascuno.
[21] Lonergan B, A Third Collection, New York, Paulist Press, 1985, p.29.
[22] Guardini R., Die Begegnung. Aus einer Ethikvoresung, in “Persona e libertà”, Brescia, La Scuola, 1987, pp.27-47.
[23] Un comportamento volontario è spesso associato al “far fatica”, nel tentativo di passare dalla semplice intenzione legata alla ragione teorica (“cosa credere”) alla sua ragion pratica (“cosa fare”) e successiva realizzazione. In questo senso, si fa fatica ogniqualvolta l’essere è proteso a realizzare qualcosa “oltre”, al di là di se stesso (sul complesso rapporto ragioni-intenzionalità-prevedibilità del comportamento-comportamento effettivo si confronti il famoso scritto di Schopenhauer A, La libertà del volere, Laterza, Bari 1970).
[24] L’educazione, come insegna Chiara Lubich, è “educazione al difficile” (Lubich C., Laurea Honoris Causa, Washington, 10 nov. 2000).
[25] Johnson R, Redmond D., L’arte dell’empowerment, Franco Angeli, 1999 .
[26] «Cogliere – afferma Chiara - quel qualcosa di “vivo” che è nel cuore del fratello, “vivo” nel senso soprannaturale, (…) o “vivo” semplicemente nel senso umano, espressione cioè di quei valori che il Signore, creandoci, ha disseminato in ogni anima umana. E su quel qualche cosa di “vivo” noi possiamo – servendo – innestare con dolcezza, con amore, con illimitata discrezione, quegli aspetti della verità, del messaggio evangelico che portiamo in noi e che danno pienezza e completezza a ciò che quel prossimo già crede e sono da lui spesso attesi, quasi agognati; aspetti che trascinano con sé, poi, tutta la verità» (C. Lubich, Santi insieme, Roma 19953, p. 106).
[27] Cyrulnik B., Malaguti E. (a cura di), Costruire la resilienza, Erickson, Torino 2005.
[28] Da un aforisma di A. De Saint Exupery.
[29] Qui troviamo un tema caro già a Socrate: è possibile educare l’uomo ad apprendere la virtù da se stesso, nell’interiorità della propria coscienza. Ogni persona possiede, come in seme, la coscienza morale, cioè la capacità di discernere le azioni buone dalle azioni non buone, ma questa capacità va educata per far luce su che cosa sia il bene. L’uomo può perfettamente conoscere il bene e seguire il male. L’uomo nella sua libertà è chiamato a scegliere tra il bene e il male. La virtù non è la libertà stessa ma la scelta a favore del bene. Con Socrate prende avvio quel processo di forte accentuazione del valore individuale della persona, nella pienezza della sua libertà e responsabilità morale che costituisce uno dei caratteri tipici della cultura occidentale che ritroveremo poi nel Cristianesimo. E’, però, necessario l’apporto degli altri per migliorare se stesso e per Socrate il mezzo per scavare nella propria coscienza è la dialettica che implica proprio una comunità in dialogo.
[30] L’esperienza educativa ci conferma che la volontà è in stretta connessione con la nascita della consapevolezza di disporre di un potere proprio. Pensiamo, quindi, a quanto importante sia sviluppare nei ragazzi il senso d’iniziativa, di autonomia, di partecipazione e di cooperazione sia all’interno della scuola, sia nell’ambito della comunità familiare e sociale (cfr. Secco L., Educazione della volontà, La Scuola, Brescia 1985; dello stesso Autore v. La pedagogia dell’amore, Città Nuova, Roma 2006).
[31] Ciò che mi limita non solo dà ragione della libertà, ma può costituire un fattore di promozione umana. Pensiamo al senso che può dare un prigioniero alla sua reclusione o un malato alla sua sofferenza, alla morte, non come figura del nulla, ma chiamata alla pienezza dell’Essere (cfr. Frankl V.E., La sofferenza di una vita senza senso, LDC, Torino 1982). Come afferma P. Ricoeur, “per il mio carattere io sono situato, gettato nella mia individualità. Io subisco me stesso individuo dato. E pur tuttavia io sono ciò che mi faccio e non so dove mi arresta il mio imperio, se non esercitandolo;…e io sono vizioso o virtuoso in una maniera inimitabile che è la mia” (“Le volontarie e l’involontaire”, in Philosophie de la volonté ,Aubier, Parigi 1950).
[32] Prendiamo un foglio bianco. Perché da questo foglio indistinto esca qualcosa, devo tracciare un contorno, e il limite è il contorno, dinamico quanto vogliamo, ma che ci deve essere se deve esser distinto dal resto, se vuole darsi un’identità. La pretesa di un’assoluta autonomia è ciò che paradossalmente ha spinto l’uomo ad una fuga dalla libertà, come sostiene E. Fromm in Fuga dalla libertà, Ed. Comunità, Milano 1970.
[33] Infatti, come acutamente annota F.G. Foester ,“l’educatore non può ottenere nulla dai suoi alunni, se non in quanto egli ha conquistato lottando su se stesso” (Scuola e carattere, La Scuola, Brescia 1957).
[34] Nel contesto antropologico accennato all’inizio, il Bene richiama alla forza straordinaria dell’Amore, come superamento dell’egocentrismo. Educare all’amore sarà, dunque, educare all’uso della libertà, alla realizzazione di sé nella realizzazione del bene reciproco (Newmann J.H., La grammatica dell’assenso, Brescia, Jaca Book-Morcelliana, 1984, p.214).
[35] Maritain J, Per una filosofia dell’educazione, Op.cit., p. 85.
[36] Savater F., Le domande della vita, Roma-Bari, La Terza 1999, p. 50.
[37] Come ben sottolinea Edgar Morin: “Ogni conoscenza comporta in sé il rischio dell’errore e dell’illusione. L’educazione deve affrontare questo problema (…) deve mostrare che non esiste conoscenza che non sia in qualche misura minacciata dall’errore e dall’illusione” (Morin E., I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano 2001 Raffaello Cortina Editore, pp.17-18).
[38] J.J. Rousseau richiama a questo proposito alla necessità di costruire una “volontà generale”, non come semplice addizione di tutte le volontà particolari, ma come ricerca di ciò che è giusto per il bene in sé, attraverso una decisione guidata dal solo spirito collettivistico, senza alcun egoismo e particolarismo a favore di un gruppo o di un certo interesse personale (cfr, Il contratto sociale, Einaudi, Torino 2005).
[39] “Se voglio operare per il bene comune”-annota Hoffman L. - “non potremo basarci solo sulla volontà individuale, perché ogni trasformazione è intrinsecamente relazionale” (Principi di terapia della famiglia, Astrolabio, Roma 1981, p. 230).
[40] Habermas J., Etica del discorso, Roma-Bari, Laterza, 1985, p. 73.