LO SGUARDO DELL'EDUCATORE. LO SGUARDO DELL'EDUCAZIONE.
SPUNTI DI RIFLESSIONE
Ieri abbiamo cercato di evidenziare alcuni elementi fondamentali che caratterizzano il “discorso” pedagogico. Abbiamo visto il legame imprescindibile che lega REALTA’ e IDEALE attraverso un agire, una prassi, un “come” (via-metodo) che è proprio l’EDUCAZIONE. E abbiamo potuto individuare alcune caratteristiche dell’educazione secondo il pensiero e l’esperienza di alcuni di voi intervenuti nel lavoro di gruppo.
Oggi cerchiamo di riapprofondire questa struttura portante della riflessione pedagogica e ci serviamo per questo di alcune considerazioni che abbiamo ricavato dallo studio di quella che viene definita come “pedagogia di comunità”.
Da molti contributi prodotto in questa direzione emerge la complessa funzione dell’educatore – attore sociale che:
1. guarda la REALTA’
2. guarda all’IDEALE
3. AGISCE
Si tratta, in fondo, della tripartizione pedagogica essenziale, che si esplica autenticamente come:
- ANTROPOLOGIA PEDAGOGICA (riflessione sulla realtà, sull’essere umano educando, sulla condizione effettiva della convivenza umana)
- TELEOLOGIA PEDAGOGICA (riflessione sui fini dell’educazione, per l’individuo e per l’umanità)
- METODOLOGIA PEDAGOGICA (riflessione sul metodo, sull’agire concreto, sul processo dell’educazione e sui mezzi che la favoriscono).
La riflessione che ora svilupperemo cercherà di muoversi – e si tratterà evidentemente di una schematizzazione – indicando i contenuti fondamentali di tale tripartizione.
1. L’EDUCATORE GUARDA LA REALTA’
La realtà è punto di partenza del lavoro educativo: l’educatore la “guarda” utilizzando un concreto approccio di analisi. Il processo educativo implica proprio l’osservazione, la conoscenza, l’individuazione della particolare e sempre nuova realtà umana con cui ci si rapporta. Ogni essere umano è unico, ogni ambiente è unico, ogni circostanza è unica: unico è il “sistema” degli elementi che entrano nel campo dell’educazione, e questo implica pertanto uno “sguardo” sistemico, capace di cogliere e interpretare la complessità dell’educazione stessa.
Come guarda l’educatore?
Lo sguardo dell’educatore non è lo sguardo dell’ “osservatore” oggettivizzante, meramente analitico, freddo e disinteressato; non è neppure quello dello “spettatore” che osserva in modo astratto, avulso, generico, indifferenziato. E’, invece, un guardare capace di cogliere la singolarità e la grandezza di ciascuno; uno sguardo che è “relazione”, perché l’educatore si pone con “interesse” e con “attenzione di cura”; uno sguardo che non è fine a se stesso ma va oltre il semplice guardare fenomenologico, per cogliere ed evidenziare la dimensione ideale della realtà.
L’educatore, proprio “guardando” la realtà, avverte la distanza tra l’essere e il dover essere, tra il reale livello di maturazione dell’educando e quello “ideale”, tra quello che egli è e quello che potrebbe diventare.
Da qui la sua possibile crisi per la separazione tra ideale e realtà, tra etica ed esperienza pratica, per la condizione dell’uomo frequentemente solo, avvitato su di sé, sempre più dominato dal primato dell’esteriore sull’interiore, da una temporalità anonima ed egocentrica, senza confini e senza fini.
Una delle più grandi difficoltà educative riguarda l’apparente insuccesso che ogni tanto prova anche il più maturo ed esperto degli educatori: può imbattersi in un senso di impotenza, di un limite invalicabile, posto dalla sua stessa natura e dalla natura degli eventi.
Ma l’insuccesso non è automaticamente indice di un fallimento. Di fronte ad esso non dobbiamo scoraggiarci o rinunciare all’azione. La Luce, certamente, non esclude le tenebre, l’angoscia… , la “lotta interiore” di ogni educatore di fronte al fallimento del figlio, dell’allievo, del giovane. Egli vive su di sé l’errore dell’educando, ma non a tal punto da farsi travolgere. Egli, infatti, sa porsi umilmente e senza indebite presunzioni di fronte alla realtà, perché è consapevole che nemmeno l’intima vocazione al Bene, a cui ogni uomo è chiamato, e le testimonianze di bene che egli riceve o le esortazioni, possano scuotere chi, pur avendo veduto e compreso, rimane ad “occhi spenti”, morto dentro.
Perciò le vanità e le irresponsabilità personali, insieme alle molteplici difficoltà esterne, possono seppellire le potenzialità umane (quelle che l’educatore deve “e-ducere”, far emergere) e, in tal modo, porsi come forti antagoniste del processo educativo.
Queste difficoltà vanno attentamente “guardate” e comprese. Di fronte ad esse l’educatore dovrebbe sempre tener conto di due realtà:
• della primordiale dignità dell’uomo, elevata al massimo grado da una natura che porta in sé profonde tracce (aspirazioni, valori, motivazioni, aspirazioni) che trascendono i limiti e le contingenze del tempo;
• di tutti quei condizionamenti genetici, personali e sociali, che di fatto possono ostacolare il raggiungimento dei più importanti traguardi formativi.
Il vero educatore, quindi, pur di fronte alle molte negatività e ai condizionamenti che considera con obiettività e realismo, guarda alla realtà con speranza e fiducia sul trionfo della Verità, dell’Amore, della Bellezza, verso cui spinge lo sguardo. Quindi, se il punto di partenza dell’educazione può essere, talvolta, una situazione negativa, il punto di forza su cui poggia l’Educatore è l’amore, una fiducia piena che non dubita sulle possibilità dell’educando.
La conversione dell’educatore sta proprio in questo decisivo passaggio, nel dialogo continuo tra Realtà e Ideale, nel perdere cioè il suo sguardo parziale per assumerne uno più ampio, quello della speranza e dell’amore.
2. L’EDUCATORE GUARDA L’IDEALE
Se il primo momento della nostra riflessione (L’educatore guarda la realtà) si rivolge principalmente alla dimensione antropologica, il secondo momento approfondisce la dimensione teleologica e assiologica della pedagogia.
Nel guardare l’Ideale, infatti, viene in risalto la riflessione sui fini e sui valori di riferimento dell’educazione, e questo è un nesso prospettico indispensabile per un’autentica educazione.
Tutti sappiamo che tutti i grandi pedagogisti ed educatori sono stati guidati da grandi ideali educativi, ma oggi più che mai incombono nell’ambito pedagogico i limiti dell’orizzontalismo, dell’alienazione, della cosalità.
E’ perciò indispensabile “guardare” l’Ideale.
In tale prospettiva, consideriamo alcune conseguenze precise anzitutto nell’educatore e, di conseguenza, in tutta la sua azione educativa:
1. Superamento della frammentazione interiore
Il Guardare l’Ideale porta “immediatamente” un cambiamento nell’educatore, che di conseguenza progetta la sua azione non solo in vista di un bene futuro, ma già a partire dall’esperienza vissuta di questo stesso bene che lo illumina e orienta.
Tale cambiamento si presenta come vera e propria conversione: l’Ideale di riferimento diviene fulcro di rinnovata unità interiore dell’educatore.
2. Superamento della frammentazione esteriore
Il riferimento all’Ideale ha inoltre l’effetto di unificare il processo educativo nel quale l’educatore si trova coinvolto.
L’educazione per essere tale deve riferirsi ad un punto di partenza e a un punto di arrivo. L’Ideale, quindi, è la meta, l’orizzonte di significato verso il quale muovere l’azione educativa. Il fine dell’educazione è il dover essere, ciò che ancora non appare ai sensi esterni, ad uno sguardo superficiale, ma c’è, è potenzialità da trasformare in atto. Nella nostra pedagogia dell’unità la meta è elevare l’uomo alla sua dignità e contribuire all’unità della famiglia umana.
Fin dall’inizio dell’azione educativa, dunque, l’Ideale si manifesta come cambio di prospettiva rispetto alla realtà osservata, e porta a progettare un’azione educativa ancorata ad un quadro etico forte.
Nello sguardo iniziale l’educatore deve già cogliere – almeno in potenza – il “disegno” il “dover essere” della realtà a cui si rivolge e può quindi assumere intenzionalmente e responsabilmente il proprio compito educativo.
3. La “conversione” dell’educatore
Potremmo dunque affermare che è possibile, e forse doveroso, rifondare il processo pedagogico a partire proprio dalla trasformazione interiore dell’educatore, quale passaggio centrale, il “segreto” dell’azione pedagogica, vista come conversione.
Si tratta di una conversione da uno sguardo frammentario (in superficie, dall’esterno, nel quale la realtà esterna è percepita come “altra” e “diversa”), a uno sguardo “ideale” (profondo, che accompagna, conduce, non dubita sulle potenzialità dell’altro anche davanti a situazioni che paiono insormontabili). L’educatore chiede a se stesso di andare alla radice delle cose, orientandosi con coerenza al mondo dei fini, che egli stesso deve perseguire per essere davvero – nel rapporto con i soggetti educativi – autorità orientante.
Questa esperienza fondamentale di trasformazione sta al cuore di ogni autentica vocazione pedagogica e conferisce all’educatore la sua vera identità. Ciò risulta ancora più necessario nell’attuale fase di perdita di senso e di centralità della figura dell’educatore che spesso viene visto come un semplice esecutore-utilizzatore di progetti, di tecniche, di strumenti di analisi giustapposti.
Ciò provoca naturalmente varie conseguenze pedagogiche. Ci soffermiamo sulle due seguenti:
- La scoperta della propria identità attraverso la reciprocità
- La scoperta dell’alterità come fraternità.
- La scoperta della propria identità
Un’importante conseguenza della “conversione” è la riscoperta da parte dell’educatore della propria identità, della realtà più vera di se stesso, vista, appunto, alla luce dell’Ideale. Tale scoperta non avviene attraverso un processo individuale o intimistico, bensì nella relazione con l’altro, inteso sia come l’altro che mi sta di fronte, sia l’Altro, l’Assoluto. Questa dinamica tra identità e alterità ha una valenza molto importante nel processo educativo, che infatti parte dall’educatore, raggiunge l’educando e sfocia nella reciprocità.
La reciprocità ci svela in questo modo la vera dimensione dell’essere, che (come è inteso anche da vari filosofi contemporanei) è ontologicamente in relazione. Come sappiamo, il paradigma dell’unità vede nella dimensione trinitaria vissuta tra noi quel fine che tuttavia, nell’esperienza dell’Amore vissuto, si fa Realtà.
- L’alterità come fraternità
Altro punto importante è il passaggio da una pedagogia dell’alterità ad una pedagogia della fraternità: nell’altro, infatti, si scopre il volto di un fratello. Una tale pedagogia dell’alterità come fraternità comporta di riconoscere ogni “altro” (amico, nemico, buono, cattivo), reciprocamente, in modo particolare l’educatore e l’educando, come “fratello”. Si tratta di una rivoluzione copernicana, di un cambiamento radicale nell’orizzonte di riferimento della pedagogia.
4. La dimensione interattivo-trascendente e profetica della pedagogia
Dal confronto dell’educatore con l’Ideale e dalla conversione del suo sguardo scaturiscono due ulteriori dimensioni della pedagogia: quella “trascendente” e quella “profetica”.
- La dimensione “interattivo-trascendente”
L’educatore, prendendo per primo l’iniziativa verso l’educando, favorisce con il suo atteggiamento la creazione di una atmosfera fraterna basata su dialogo fiducioso e interdipendenza positiva. Di conseguenza l’educando cresce e matura a partire dal rapporto di fiducioso dialogo instaurato sia con l’educatore e con le persone coinvolte nel processo educativo.
Tale dimensione interattiva dell’educazione si accompagna a quella trascendente, che richiede un perdersi l’uno nell’altro sia da parte dell’educatore che da parte dell’educando, proprio nella prospettiva trinitaria.
- La dimensione profetica della pedagogia
Infine, dallo sguardo dell’educatore verso l’Ideale, si schiude la dimensione profetica dell’educazione, ovvero un pensare che, con l’intelligenza illuminata dall’Ideale, cerca, intuisce ed esprime l’unità del progetto educativo nella multidimensionalità degli spazi e dei tempi; un pensare che nulla trascura, anzi tutto ama, sia della molteplicità che ci individualizza nel particolare, sia dell’unità che nel contempo sempre ci sollecita.
3. L’EDUCATORE AGISCE
Questa parte della nostra riflessione riguarda più direttamente il “come”, la concretezza del processo educativo, che è via, itinerario, metodo: concreto procedere dalla realtà all’ideale, dall’essere al dover essere.
3.1. Verso un nuovo paradigma
L’azione dell’educatore si fonda innanzitutto sulla relazionalità, quale aspetto primario dello stesso essere umano, finalità costitutiva del suo essere, che è “essere in relazione”.
La pedagogia che scaturisce dall’Ideale, quindi, appare immediatamente come pedagogia della relazione e dell’unità, finalizzata a stimolare e favorire il passaggio dalla frammentazione all’unità in se stessi, nel rapporto con gli altri. E’ una pedagogia - “per la quale il piano ideale e quello pratico si compenetrano e si unificano” e quindi “ l'Utopia non è un sogno, né illusione, né mèta inavvicinabile: essa è tra noi, e ne avvertiamo i frutti, quando attualizziamo un vero clima educativo. E' attraverso una continua questa prassi educativa dell'ascolto e del rispetto, che noi operiamo come “pacificatori” per unire l'Utopia con la Realtà..”. (1)
Quindi la ricostruzione dell’unità del processo educativo può essere l’obiettivo di ogni educatore; possiamo anzi affermare in modo ancor più forte che l’educatore, per sua vocazione ed essenza, deve rispondere in modo unitario, perché unitario è l’orizzonte che ha di fronte: il volto della persona.
Da questa prospettiva risulta evidente che l’educazione è da intendersi come relazione interpersonale, in cui gli “attori”, educatore ed educando, educandi tra loro, agiscono in modo autonomo e, nello stesso tempo, interdipendente, tendendo verso un unico Ideale.
Possiamo dire che la relazionalità ma coinvolge anche la dimensione conoscitiva dell’insegnare e dell’apprendere, costituendo un rapporto di circolarità e riflessività della conoscenza e tra diverse conoscenze, nel rapporto con l’ambiente sociale, in una interazione sistemica che rende ragione della complessità, della varietà e della ricchezza dell’evento educativo.
La pedagogia dell’unità è quindi una pedagogia che risponde al criterio della sistemicità: non si accontenta di “dare ricette pronte all’uso” o – al contrario- di indicare obiettivi irraggiungibili ma è consapevole di dover mettere in atto un processo complesso, vario, plurale ed interrelato e, al tempo stesso, unitario. I vari elementi del sistema complesso vanno attentamente considerati, includendoli in una dimensione armonica, per non correre il rischio di enfatizzarne alcuni a scapito degli altri. (2)
Nella pedagogia dell’unità, i contenuti dell’insegnamento, le modalità di trasmissione della cultura e la dimensione personale, interpersonale e sociale sono unificati nell’orizzonte della relazionalità e dialogicità che compenetra in una dinamica unità vivente tutte le dimensioni costituitive dell’azione educativa.
Si comincia a intravedere un modello del processo educativo nel quale i soggetti (educatore, educando, mondo) non solo sono in relazione fra loro, ma sono essi stessi costitutivamente “relazione”.
3.2. Le modalità dell’azione educativa
Lo sguardo dell’educatore non è mai generico e indifferenziato: sa invece cogliere – essendo sguardo d’amore – non solo la situazione di partenza della classe o del gruppo affidato, ma anche la situazione di ciascuno: prerequisiti, lacune, bisogni, abilità, capacità, competenze non ancora espresse. E’ tipico della relazione educativa assumersi intenzionalmente questi compiti e senza uno sguardo siffatto i propri interventi educativi possono risultare fallimentari. Questo sguardo è quindi caratterizzato dalla storicità e dalla temporalità, due dimensioni che conferiscono poi alla prassi pedagogica realismo, concretezza e solidità. Esse consentono di ricostituire l’unità della dimensione temporale, in quanto valorizzano il passato (radici culturali, storia individuale e del gruppo di appartenenza), progettano il futuro (educazione come speranza e progetto) e operano efficacemente nell’attimo presente (risorsa autentica dell’educazione).
Il compito dell’educatore non è quello di costruire dal di fuori una realtà dentro l’educando, bensì di valorizzare pienamente la libertà dell’educando – vero soggetto dell’educazione – e di aiutarlo a scoprire in se stesso - a partire dalla sua stessa interiorità – la propria realtà vera. Si tratta di favorire la crescita della coscienza, di risvegliarla qualora fosse assopita, di indirizzarla, in quanto il criterio di crescita, la verità, è già presente nell’altro. Si riconoscono così nell’educando la sua dignità di persona, la sua libertà e il suo ruolo attivo e da protagonista nel processo educativo. Lo spazio della relazione educativa, lo ricordiamo, è comunque sempre spazio di possibilità, fondata sulla intrinseca libertà dell’atto umano, personale e relazionale. In quanto tale è un processo, un evento creativo e non un meccanismo necessitante: è portatore di scoperte inaspettate e di attese deluse, di conquiste e di scacchi.
Una tale pedagogia è quindi pedagogia dell’azione, in quanto non si occupa di “spiegare” il mondo, bensì è essa stessa “trasformazione” del mondo: l’amore quale azione di trasformazione va oltre il semplice cambiamento degli elementi in gioco, ma ristruttura creativamente tutto l’agire educativo. Ciòrisponde in pieno al criterio fondamentale della socialità: non esiste educazione se non realizza apertura alla più ampia socialità. L’educatore deve sempre “guardare alla città”, ai “molti”. L’educatore deve essere interprete e mediatore con la dimensione sociale in modi e sensi via via più ampli.
In certo senso il nuovo paradigma educativo che emerge dal Carisma dell’unità, si pone non solo il problema di spiegare il mondo ma soprattutto di trasformarlo. (3) In termini più vicini all’attualità, riferendosi all’umanità minacciata di distruzione, Edgar Morin intuisce che “l’unico modo di salvare l’umanità è quello di realizzarla”.
Per raggiungere questo fine l’impianto deve essere fortemente multidisciplinare. Dalla legge dell’incarnazione deriva infatti la necessità di prendere sul serio tutte le scienze umane, ambiti di conoscenza sull’uomo con i quali è indispensabile entrare in dialogo.
La pedagogia, proprio per la necessità di orientare l’educazione all’esperienza dei valori autentici e al raggiungimento delle finalità più alte, deve avvalersi del linguaggio esortativo. Non basta analizzare, fare resoconti sulla realtà, sottoporla a “mappature pedagogiche” meramente descrittive: il discorso pedagogico ma anche il parlare dell’educatore – cioè il linguaggio dell’educazione – si spingono alla proposta, all’orientamento, all’indicazione di traguardi e offrono supporto, affiancamento, accompagnamento, perfino “spinte” verso le mete da raggiungere. (4)
La “spinta esortativa” è efficace soltanto se la “parola” dell’educatore è innanzitutto “testimonianza” (5): per questo ci vuole il coraggio anche delle scelte che vanno controcorrente rispetto alle mode, agli stereotipi culturali, alla mentalità diffusa, perché l’educatore autentico deve selezionare accuratamente i mezzi, le modalità dell’intervento educativo, sapendo oltretutto discernere tra ciò che è essenziale e ciò che va posto “in sottordine”.
UNA PRIMA VISIONE D’INSIEME
Per finire sintetizzando, possiamo riprendere le seguenti categorie strutturali-imprescindibili dell’agire pedagogico (6), presenti anche nel testo “Risurrezione di Roma”:
• Intenzionalità: l’educatore è interprete dell’intenzionalità di-, dell’intenzionalità per-, in rapporto alla realtà e al suo dover essere.
Chiara esprime la sua intenzionalità nei riguardi di Roma.
• Responsabilità: assumersi la responsabilità, per primi.
Chiara risponde all’appello, alla domanda di educazione espressa da Roma; chiama l’Opera ad una comune responsabilità, le affida un compito.
• Reciprocità: la relazione educativa deve fondarsi sulla reciprocità, riconoscendo e valorizzando il protagonismo del soggetto educativo.
Chiara propone la vita trinitaria, che è reciprocità; “l’amore circola” (cpv.18); “Cristo rivive in ambedue ed in ciascuno e fra noi” (cpv.20).
Socialità: non esiste educazione se non realizza apertura alla più ampia socialità.
Sistemicità: l’educazione coinvolge un complesso “sistema” di elementi: l’educatore, il singolo, la società, il patrimonio culturale, i mezzi.
Possibilità: l’educazione autentica non è governata da una legge deterministica, del tipo causa-effetto, ma tiene conto della libertà del soggetto; è perciò governata dalla legge della “possibilità”.
Occorre qui ricordare l’ontologica libertà dell’uomo, perfino di fronte al Trascendente, sottolineando che proprio questa “possibilità” consente agli uomini “la gioia della libera conquista…”, la possibilità di essere “creatori… della propria felicità”.
• Temporalità: l’educazione è sapiente utilizzazione della risorsa-tempo.
Occorre allora insistere sulla necessità di vivere intensamente l’attimo presente e,nel contempo, l’importanza di ciò che il passato può insegnare, sapendovdistinguere tra l’immagine futura dell’illusorio sogno utopico e la Realtà dell’Ideale.
• Testimonianza: nel processo educativo di convincimento-autoconvincimento, la “testimonianza” assolve ad una funzione importantissima e inalienabile. In genere il convincimento avviene per effettiva evidenza o per dimostrazione. La testimonianza rappresenta invece una significativa “terza via”, per la quale il convincimento viene “provocato”: nasce dalla credibilità e dall’autorevolezza di chi (testimone: “portatore di un testo”) comunica qualcosa mettendo in gioco se stesso come vivente garanzia e attestazione di ciò che afferma (7) .
L’armonica compresenza di tali dimensioni, nelle quali si manifestano le qualità più intime dell’Amore autentico fa sì che l’educazione che ne deriva sia la via capace di farci superare le molteplici forme di frammentazione che oggi viviamo e di farci connettere efficacemente la Realtà all’Ideale.
Crediamo che, in tal senso, sia legittimo assegnare a questa prospettiva il titolo di “Pedagogia dell’unità”.
(1) C. Lubich, Laurea honoris causa, Washington 10 novembre 2000
(2) cfr. E: MORIN La testa ben fatta, p.XXX. Così denuncia Edgar Morin: “I nostri sistemi di insegnamento, invece di porre correttivi alla superspecializzazione, alla frammentazione, alla compartimentazione, obbediscono a questi principi e fin dalla scuola primaria insegnano ad isolare, a separare a disgiungere piuttosto che a collegare e ad integrare”
(3) In termini più vicini all’attualità, riferendosi all’umanità minacciata di distruzione, Edgar Morin intuisce che “l’unico modo di salvare l’umanità è quello di realizzarla”.
(4) G. Milan, Il linguaggio pedagogico (lezione di Pedagogia generale) , “Studium Educationis”, 3, 1999, pp. 536-542
(5) L. Santelli Beccegato (a cura di), Bisogno di valori. Per un rinnovato impegno educativo nella società contemporanea, La Scuola, Brescia 1991.
Così denuncia Edgar Morin: “I nostri sistemi di insegnamento, invece di porre correttivi alla superspecializzazione, alla frammentazione, alla compartimentazione, obbediscono a questi principi e fin dalla scuola primaria insegnano ad isolare, a separare a disgiungere piuttosto che a collegare e ad integrare”
(6) Cfr. P. Bertolini, L’esistere pedagogico, La Nuova Italia, Firenze 1988; G. Vico, Scienze pedagogiche e orizzonti educativi, LED, Milano 1997.
(7) S.S. Macchietti, Appunti per una pedagogia della persona, Bulzoni, Roma 1998