Lo sappiamo: il noi genera appartenenza. Il me separa, se non si trasforma in io e tu, insieme. Se l’io non afferma sé stesso senza diventare persona. Resta individuo e io oggettivato nel me, quindi un separato.

L’altro è oltre i miei confini. Che fare allora dell’incontro? “In” è andare verso, cercare l’unione. “Contro” è sperimentare resistenza, opposizione. È insieme esperienza del limite e della speranza. Sono entrambi necessari per oltrepassare, passare da individui oggettivati a persone capaci di incontrarsi. Non solo… anche di reggere e interpretare il ritmo della vita, dove limite e speranza coesistono, nell’esperienza quotidiana.

 

Limite è barriera, ostacolo da superare. Speranza è capacità di vedere oltre la notte, verso la luce. Non basta aspettarla. È anche farsi sorprendere dalla luce che nasce. Rinasce ogni volta. È alba appunto. È molto di più: icona di vita. Ogni alba è nuova nascita, come nella famiglia, quando una nuova vita sposta più lontano il limite della morte.

 Quelli che abbiamo descritto sono altrettanti modi ritmati, per esprimere il senso di un problema ben più ampio. La notte e l’alba ce lo descrivono. Lo fanno richiamando una ninna nanna cosmica, che è cullare la vita. Nello stesso tempo richiama lo straordinario duello tra morte e vita.

 L’altro vorrà incontrarsi con me? È una domanda poco consueta. La risposta non è scontata, in particolare nella relazione di aiuto.

Significa accettare il rischio dell’incontro, dove il limite non si riduce. Può alimentarsi del conflitto silenzioso tra chi offre aiuto e chi lo chiede. Il prezzo da pagare è accettare l’incontro, ammettere la propria debolezza, il proprio bisogno.

 Un modo per evitare questa sofferenza è farsi riparare dalle procedure, dalle regole che aiutano, ma senza incontrarsi. Un modo per farlo è di trasformare i diritti in prestazioni, in cose da ricevere, senza incontro delle capacità e delle responsabilità. Riscuotendo quello che mi spetta, anche se non ne ho bisogno. È una dinamica diffusa nel welfare di oggi. Consuma risorse senza rigenerarle.

Per rigenerarle è necessario l’incontro delle capacità e delle responsabilità. È ambiente generativo di vita, che solo la trasformazione professionale e personale possono rendere possibile, nell’incontro appunto.

 Nella relazione, il rischio opposto è fondersi con l’altro. Farsi sua immagine. Adattarsi a lui.

La difficoltà non è quindi solo orizzontale, nel passaggio dei contenuti dell’aiuto. Possono essere dono, reciprocità, sostegno, qualcosa da dare e ricevere. Ma il “dare senza dare”, senza ottenere e dare fiducia è un esercizio sterile, consuma senza rigenerare, anche quando tutto farebbe pensare il contrario.

 Nei servizi alle persone l’incontro con l’altro nasce da esperienze di fragilità, di mancanza, da condizioni di necessità. Può essere fragilità: di organi, funzioni vitali, emozionali, economiche, … Tutte situazioni in cui da solo non è possibile farcela… vale per l’apprendimento e l’educazione.

 

La notte dell’assistenza è senza alba quando custodisce la sofferenza. La può conservare anche per lungo tempo, senza che questo sia necessario. È come il gelo che conserva la vita prima della primavera. Ha senso se lascia spazio all’alba della primavera. Ma se la long term care (LTC) si protrae senza ragione, è gelo che impedisce nuova vita. È notte senza alba. È dipendenza senza speranza. Chi ha meno speranza di vita ha ancor più bisogno di sperare.

 Nel secolo scorso, quando la decomposizione della cultura moderna aveva in mano troppe verità con poco senso, Lukasiewicz ha costretto la logica moderna a non esser più come prima. Era necessario ricostruire la verità a piccoli passi. Lo ha fatto modificando il calcolo proposizionale. Vero e falso non potevano bastare. Sarebbe come dire che: buio e luce corrispondono alla notte e all’alba. Non è così. Ha aperto la strada alle logiche polivalenti, a gradazioni di luce. I valori di verità possono avere più dimensioni, senza perdere senso e verità delle cose, anzi il contrario. Ma era necessario andare oltre il buio e la luce “binari” di vero e falso, senza notte e alba.

 Nell’incontro con l’altro in difficoltà i problemi si concentrano e sono amplificati. Non a caso le innovazioni di welfare sono avvenute in condizioni limite, quando l’intensità del bisogno e della sofferenza ha sollecitato la ricerca di azioni e soluzioni generative. Sono ben oltre l’ aiuto donato, a distanza di sicurezza dall’assistenza e dalla beneficenza, senza incontri tra persone.

 Si è cominciato lentamente a capire (ma non ancora abbastanza) che per curare e prendersi cura non è possibile evitare l’incontro. Non è possibile affidarlo a procedure soltanto tecniche, soltanto giuridiche, soltanto metodologiche Non è possibile trasformare la domanda in soliloquio, in autoprescrizione, senza svuotarla di capacità, di speranza, dell’alba possibile.

 È oggettivazione che persiste, come gelo della persona, come luce artificiale, che illumina anche la notte, ma in modo troppo luminoso, illuministico. La vita non può essere incoraggiata con pratiche assistenziali. Sono istituzionalizzanti. Non può essere forzata con alimentazione artificiale. Non la si vorrebbe per sé, ma solo per altri, evitando di incontrarli.

 I modi ricorrenti per evitare l’incontro con l’altro non sono soltanto istituzionalizzanti. Sterilizzano la relazione e la standardizzano. Sono intrusivi, visto che in certi casi entrano nell’altro. La scienza moderna del curare li ha sviluppati nelle pratiche chirurgiche, per poi cercare di renderle sempre meno invasive. Le ha sviluppate nelle diverse forme di psicoterapia. Non si entra nel corpo dell’altro, ma ancora più in profondità. Può accadere senza incontrare l’altro, utilizzando setting difensivi. L’intrusione può spingersi dovunque, nella persona, nei sentimenti, nelle emozioni, nelle scelte. Può arrivare con le ideologie a prendere l’anima.

 Ci sono anche modi assistenziali per essere intrusivi. Sono basati sulla verifica dei mezzi, entrando nel merito delle capacità economiche, senza guardare alle capacità della persona, senza incontrarla e chiederle di dare e non solo di ricevere, amministrando l’aiuto, senza la persona che lo chiede.

 Non possiamo incontrarci senza di me e di te. Non posso aiutarti senza di te. Non puoi essere aiutato senza di me. Sono diverse prospettive incrociate per mettere a fuoco il problema. Senza incontrarsi è possibile?

 Le scienze del curare e prendersi cura hanno bisogno di riconsiderare i propri fondamentali e ritrovare senso, rinascere. Se osservano senza incontrare sono sterili. Se suppongono, teorizzano, senza verifiche di realtà, sono irresponsabili. Il sapere che non accetta la vita e il suo ritmo, se non vive la notte e l’alba, è idolo e seduzione. Non è servizio, non è soluzione. Il senso vitale di questi due termini è fare di “limite e speranza” condizioni generative.

Incontro pedagogico, Padova 6 ottobre 2012

(Tiziano Vecchiato - Fondazione E.Zancan, Padova)

 

 

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